Hanno lasciato dietro di sé i mariti, a volte i figli
piccoli.
Viaggio in Romania, per scoprire che chi si cura
dei nostri cari può pagare un prezzo altissimo
N.
EX BADANTE
Depresse, insonni, aspiranti suicide
«Più che una malattia, la sindrome Italia è un fenomeno medico sociale»,
C’è un sentimento quasi intraducibile, «dor»,
che tutte le badanti conoscono: la brama di quel che si è abbandonato lo struggimento per ciò
che non si ritroverà più
N., sei una schifosa! N., pulisci! N.,
sta’ zitta! «Le sento sempre, quelle voci…».
Nelle orecchie ronzano ancora le
urla del vecchio malato d’Alzheimer e di sua moglie.
Nella mente, i ricordi
della casa di Treviso: una prigione senza sonno e senza permessi, né sabati né
domeniche. «Quei signori me li sogno tutte le notti. Due zombie! M’afferrano,
mi fanno male!…».
«Quando sono tornata a casa, mi sono accorta che parlavo con
le voci. Mi sentivo prigioniera, non dormivo mai, scappavo. Avevo attacchi di
panico, piangevo. I miei due figli mi guardavano come una sconosciuta. Avevano
ragione: erano cresciuti senza vedermi, ormai era passato troppo tempo... Alla
fine se ne sono andati via».
Nel nostro Paese le badanti che arrivano dalla Romania sono
circa un milione, solo la Siria esporta in Europa più migranti
N. sorride nel vuoto: «Io sono rimasta qui, loro sono
fuggiti a vivere in Sicilia. Ed è come prima: non ci vediamo mai». Meglio così:
«Ma sì, che cosa ci stavano a fare con me? Hanno una vita da vivere. La mia, io
l’ho regalata all’Italia».. Depresse, inappetenti, insonni, schizofreniche,
ansiose, allucinate, ossessionate. Impazzite. Aspiranti suicide. Badanti che
prendiamo in casa e crediamo di conoscere — nel nostro Paese sono circa un
milione, solo la Siria esporta in Europa più migranti della Romania — e
diventano invece vite a perdere, quando tornano da dove vennero.
Il loro disturbo ha un nome scientifico che ci provoca, in
quanto maggiori importatori europei d’affetto a pagamento: «Sindrome Italia».
Uno stress diagnosticato e chiamato così per la prima volta da due psichiatri
di Kiev: nel 2005, avevano osservato sintomi comuni a molte ucraine e romene e
moldave, ma pure filippine o sudamericane. Tutte emigrate per anni ad assistere
anziani nell’Europa ricca, lontane da figli e mariti.
«Più che una malattia, la “sindrome Italia” è un fenomeno
medico-sociale», «C’entrano la mancanza prolungata di sonno, il distacco dalla
famiglia, l’aver delegato la maternità a nonni, mariti, vicini di casa...
Abbiamo molta casistica. S’è aggravata quando le romene dal Meridione, dove
lavoravano nei campi ed erano pagate meno, si sono spostate ad assistere gli
anziani del Nord Italia: tra le nostre pazienti ci sono soprattutto quelle che
rifiutavano i giorni di riposo e le ore libere per guadagnare meglio, distrutte
da ritmi massacranti. Nessuno può curare da solo un demente o una persona non
autosufficiente: 24 ore al giorno, senza mai una sosta. Col fardello mentale di
quel che ci si è lasciati alle spalle».
Al ritorno in Romania, la terapia della «sindrome Italia»
può durare anche cinque anni e di rado la passa la mutua: 240 euro ogni dodici
mesi, uno stipendio medio. Un terzo delle ricoverate tenta almeno una volta il
suicidio, e spesso ci riesce. Ma è una strage silenziosa, perché di solito è la
famiglia a chiedere d’aggiustare l’atto di morte: nella regione più povera
dell’Ue, questo capoluogo della Moldavia romena che Bergoglio visiterà in
giugno, i pope ortodossi negano funerali e cimitero a chi si toglie la vita.
Tutte le albe ci sono file alle corriere: 70 euro il viaggio per Padova, 100 fino a Palermo
LA VETRINA DI UNA COMPAGNIA CHE ORGANIZZA VIAGGI IN MINIBUS
DALLA ROMANIA ALL’ITALIA
UNA MAPPA DELL’EUROPA DENTRO UN’ AGENZIA VIAGGI
UNO DEI TANTI MINIBUS CHE VANNO DALLA ROMANIA ALL’ITALIA
Su via Nazionale dietro la stazione , fra sale scommesse e
locali di striptease, s’incontra un’umanità partente che tutte le albe fa la
fila alle corriere Flixbus, AmiTuring, Atlass: 70 euro il viaggio per Padova,
110 fino a Palermo, 40 kg di bagaglio consentito, un traffico gestito da clan
di zingari che di fianco alle biglietterie vendono scarpe, giacconi, telefonini
raccattati chissà come in Italia. Intorno, un deserto di villette nuove e
vuote, costruite con le rimesse, le finestre ancora incellofanate: «A Roma mi
sono sentita una schiava – dice G., 700 euro al mese, mai un giorno di
riposo in dieci anni —. Non mi compravo neanche un succo, un gelatino, mandavo
tutti i soldi in Romania. Ora ho una bella casa, ma sono sola. No, non ne
valeva la pena…».
C., 58 anni, dieci a Biella: «Potevo lavarmi una volta
la settimana. Mi controllavano il cibo. E l’acqua dovevo scaldarla sui
termosifoni. Adesso in famiglia non mi sopportano: sembro una spia, annoto quel
che si consuma, sono ossessiva. L’Italia mi ha fatto diventare così».
«A voi italiani non importa nulla dei genitori, prendete una
badante e via, vi fate la vostra vita»
«A voi italiani non importa nulla dei genitori, prendete una
badante e ciao, vi fate la vostra vita – piange A., 60 anni e da cinque in cura —. Ho
lavorato a Verona. In nero. Mi davano poco da mangiare: ero diventata 50 chili,
curavo un anziano che ne pesava cento. Avevo diritto a sei mezze mele la settimana:
ogni giorno, lui ne mangiava metà e io l’altra metà . Mi mettevano un letto sul
corridoio, dove dormiva il cane. E le parolacce, le mani addosso: romena figlia
di p…, siete tutti morti di fame! Piano piano, mi sono venuti attacchi di
panico, un dolore fisso alla gola. Intanto la mia famiglia andava in rovina.
Avevo abbandonato i miei genitori per curare quelli di altri. Il mio bambino
dormiva con la foto sotto il cuscino, tremava sempre, mi telefonava: torna a
casa, se no vado sul tetto e mi butto giù... A 19 anni, aveva già i capelli
bianchi».
È la persona che santifica il luogo, dicono i romeni. E sono
i suoi gesti a raccontarlo: a metà marzo, una tredicenne s’è impiccata.
L’ultimo caso. Un effetto collaterale della “sindrome Italia” che colpisce
anche i 750mila figli delle badanti, i cosiddetti orfani bianchi, narrati nei
romanzi di Ingrid Coman: «Ãˆ un cliché, pensare che tutti gli italiani siano
indifferenti alla situazione delle badanti — commenta la scrittrice. Non
generalizzerei. La comprensione appartiene alla persona, non alla società . Poi,
però, è un dato di fatto che in Italia siamo di fronte a numerosi casi di
schiavismo. E alle conseguenze che questi provocano».
S. D., leader italiana dell’Associazione donne
romene, tiene il conto dei bambini suicidi che non hanno retto l’abbandono: un
centinaio, a tutt’oggi. Nella clinica, nascosti al mondo, sono ricoverati
trenta piccoli depressi gravi. Non si sa bene che fare, perché non ci sono
neuropsichiatri infantili: «Avevamo A., un bimbo di 7 anni rientrato in
patria con la mamma — fa un esempio M., direttrice della scuola Caritas —.
Lei si sentiva una fallita, A. non s’adattava al nuovo mondo e rifiutava il
cibo non italiano. Voleva suicidarsi: abbiamo dovuto ricoverarlo».
I disagi dei left behind sono diversi. Rabbia, ansia,
difficoltà d’apprendimento: «C’è chi ha la madre via, e se ne vergogna. Chi
vive coi nonni, e sono troppo anziani. Chi coi vicini, troppo estranei. Chi è
rimasto proprio solo. I genitori a volte se ne vanno in Italia e non delegano
la potestà : spariscono per mesi, non contattano mai la scuola. Magari cambiano
scheda telefonica e i figli non hanno neanche un numero da chiamare».
A una certa ora della sera, le biblioteche dei villaggi si
riempiono dei ragazzini più poveri: wi-fi a disposizione, per parlare
finalmente con l’Italia. «Il periodo duro della mia vita fu quando partirono
sia mamma che papà — racconta un orfano bianco. Il più bello, il primo Natale
insieme. Avevo 10 anni, oggi ne ho 22. E mia madre è ancora a Taranto. La sento
due volte al giorno, ma non è lo stesso. La voglio qui. Ho due fratelli più
piccoli: quasi non la conoscono».
ORFANO BIANCO
In una casetta ben rifatta, E. è appena tornata da Firenze e da Milano: «Otto
anni ! Uscivo di casa solo per buttare la spazzatura…». L’ha convinta sua
figlia — «mamma, piuttosto mangiamo una cipolla, ma non partire più !» — una tristezza incontenibile: «Nessuno può
capire come sono stata». Quel che ha ritrovato qui, non le piace. Liti, botte,
alcol. La convivenza con un marito irriconoscibile tra i rancori di lei per lui
(«non hai mai avuto un lavoro!...») e i rimproveri di lui a lei («parli troppo,
sembri un’italiana!»…). Pura sindrome. Le consigliano tutti d’andare in
clinica. Elena piange, si danna. Ma per ora no: «Io guarisco lavorando». Il
pomeriggio fa 15 chilometri di bus. Indossa una divisa, è guardia giurata.
Turni di notte: «Devo badare ai negozi,già badare».