Le otto vite di via Rampa Nunziante: la sentenza

Quattro anni fa, 7 luglio 2017, Torre Annunziata si svegliava nella tristezza. A via Rampa Nunziante crollò una palazzina, sventrata nelle sue viscere. Per ore interminabili la città si fermò in attesa del ritrovamento dei corpi, si sperava ancora in vita.

La curva di via Gino Alfani nei pressi non riusciva a contenere tutti, ci si guardava negli occhi in un silenzio rispettoso scandito dall'altoparlante della chiesa della S.S. Trinità che diffondeva la sua preghiera, le mani di ciascuno con l'immaginazione scavavano con gli occhi insieme ai Vigili del fuoco, stremati da un caldo insopportabile che, con i cani instancabili nella ricerca, davano l'anima con tutte le loro forze. 

Non ce la fecero Giacomo Cuccurullo, Edy Laiola e il figlio Marco; Pasquale Guida, Anna Duraccio e i figli Francesca e Salvatore; Pina Aprea.

I funerali furono un pugno nello stomaco.  Il cardinale Sepe colpì chi lo ascoltava dentro, fuori e collegati da casa dalla basilica della Madonna della Neve affermando: "Dio, ma tu dov'eri?".

Felice Guida, fratello di una delle vittime, commosse profondamente con la sua lettera ai funerali: "Quanto strazio, quanto dolore, tanta la sofferenza che ci ha accompagnati dal momento del crollo fino al ritrovamento dell’ultima delle otto vittime di un episodio finito in tragedia. A chi si può attribuire la causa di tale evento? Al destino? O semplicemente alla mano dell’uomo?". 

Poi le TV regionali e nazionali stazionate per giorni se ne andarono, via Rampa Nunziante venne riaperta, la vita riprese, ma la palazzina, dove è rimasta solo una scarna facciata vuota dentro e con niente alle spalle, non si riesce a non guardarla con l'amaro in bocca insieme allo striscione con le foto delle otto vittime che hanno chiesto giustizia in tutti questi anni. Accanto un murale 'Il nostro cielo è il mare': 8 aquiloni che volano nel mare con il cielo sotto. 

Oggi al Tribunale Penale di Torre Annunziata il giudice Francesco Todisco ha emesso la sentenza in primo grado per il processo sul crollo della palazzina il cui cedimento fu preceduto dalla comparsa di lesioni e lo sgombero, secondo gli inquirenti, avrebbe potuto salvare la vita alle otto vittime. Un crollo, quindi, causato dai lavori di manutenzione straordinaria, non autorizzati, eseguiti in un appartamento al secondo piano del palazzo di proprieta’ di Gerardo Velotto, condannato con una pena a 12 anni e 6 mesi di reclusione.

Si conclude così, tra condanne anche pesanti, tra cui quelle dai 9 ai 12 anni di reclusione (gli architetti Massimiliano Bonzani e Aniello Manzo ritenuti di fatto i direttori dei lavori e Pasquale Cosenza, l’operaio che ha eseguito materialmente gli interventi) e assoluzioni per gli altri imputati, una vicenda triste che per tutti questi anni ha invocato una giustizia giusta e ha tenuto i torresi con il fiato sospeso per l'esito tanto atteso arrivato questo pomeriggio.

Ma si è conclusa veramente? Per le famiglie, i parenti, gli amici, il dolore non cesserà mai. Le otto vittime avevano un'età che abbracciava tutte le vite: da 8 anni alla maturità. Avevano una vita davanti da vivere. 

È proprio vero che, alla fine, non c'è giustizia che tenga e ci si chiede: perché?

FRANCESCA CARLUCCI 
foto Francesca Carlucci