Leggere l'Olocausto, per non dimenticare

(di e foto Francesca Carlucci)

Ricordare è vita. Senza la memoria, la Storia, non può esserci la speranza di un futuro migliore. Il passato è rispetto verso coloro che ci hanno preceduto, è insegnamento di valori e sentimenti volti al bene dell'intera umanità. 

Leggere è non dimenticare. I libri di memorie sull'Olocausto scritti dai sopravvissuti sono numerosi e toccanti, di seguito dei passi tratti da alcuni di essi. 

I libri sulla Shoah rappresentano la più importante testimonianza della vita delle persone coinvolte nelle persecuzioni dei lager nazisti, gli stessi autori hanno sofferto per liberare l'anima, la mente, il cuore dal loro tormento che non è andato mai via. 

Noi possiamo solo leggere questi testi, diffondere il loro ricordo, le loro parole e impegnarci per far sì che ciò che accadde, non accada più. 

(Anne Frank, Diario)

"È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare. Eppure me li tengo stretti perché, malgrado tutto, credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore. Semplicemente non posso fondare le mie speranze sulla confusione, sulla miseria e sulla morte. Vedo il mondo che si trasforma gradualmente in una terra inospitale; sento avvicinarsi il tuono che distruggerà anche noi; posso percepire le sofferenze di milioni di persone; ma, se guardo il cielo lassù, penso che tutto tornerà al suo posto, che anche questa crudeltà avrà fine e che ritorneranno la pace e la tranquillità"

(Primo Levi, Se questo è un uomo)

"Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga"

(Liliana Segre / Enrico Mentana, La memoria rende liberi)

"Ricordo di aver visto il capo del campo buttare la pistola per terra. Era un uomo terribile, crudele, che picchiava selvaggiamente le prigioniere, e in quel momento una parte di me avrebbe voluto raccogliere la pistola e ucciderlo. Fu un istante di vertigine, durante il quale mi sembrò che si fossero invertite le parti: forte io e debole lui. Guardavo l’arma, feci per prenderla convinta di potergli sparare, sicura che ne sarei stata capace. La vendetta mi sembrava a portata di mano. Ma di colpo capii che non avrei mai potuto farlo, che non avrei mai potuto ammazzare nessuno. Questo fu l’attimo straordinario che dimostrò la differenza tra me e il mio assassino. E da quel preciso istante fui libera. Da anni, ogni volta che mi sento chiedere: «Come è potuto accadere tutto questo?», rispondo con una sola parola, sempre la stessa. Indifferenza. Tutto comincia da quella parola. Gli orrori di ieri, di oggi e di domani fioriscono all’ombra di quella parola. La chiave per comprendere le ragioni del male è racchiusa in quelle cinque sillabe, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore"

(Sami Modiano, Per questo ho vissuto)

"Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo. La mia testimonianza serve a questo. A coltivare la memoria e a ricordare chi non è più con noi: tutte quelle persone che sono finite nelle camere a gas o che non hanno resistito al gelo delle notti di Auschwitz. Io oggi parlo per loro. Mi ci vollero anni per farmi accettare una semplice verità: scegliere di non sapere è il modo più masochista e inefficace per chiudere i conti col passato. Nascondere a noi stessi una pagina cruciale della propria storia ci impedisce di andare avanti"

(Liliana Segre, Ho scelto la vita)

"Nell'ultimo lager non si lavorava più, non si mangiava quasi mai, non sentivamo più niente. Se non fosse finita la guerra non ci sarebbe stato bisogno di ucciderci perché saremmo morte di debolezza. Ma successe una cosa straordinaria. Al di là del filo spinato si vedeva il prato, gli alberi, la primavera. Quella primavera che nasceva lì e che ci faceva gioire di avere ancora la vista, che ci permetteva di godere di quel verde tenero e di pensare che la natura aveva fatto comunque il suo corso, indipendentemente dalla guerra, dalle città distrutte, dalla cattiveria degli uomini. C'era l'erba, fiorivano i germogli sui rami"