Dream Team: a Scampia si fa rete


(di Francesca Carlucci)

Volontariato, violenza contro le donne, cultura, sport, ambiente, sviluppo territoriale, legalità sono solo alcuni degli aspetti affrontati ogni giorno dall’Associazione Dream Team – Donne in Rete, presente a Scampia, insieme alla sua presidente Patrizia Palumbo

Il suo impegno ha portato una ventata di riscatto a Scampia con progetti, attività, iniziative, nonostante si parli spesso di questo quartiere in negativo. Cosa rappresenta questo luogo per lei e come si può fare affinchè non sia più considerato una realtà difficile? 

Guardi, il problema non è una realtà difficile perché quello che cerco sempre di far capire nei nostri interventi è che Scampia è un territorio molto vasto ed è lo stigma che ha creato il problema, ma anche i media perché a loro fa più piacere parlare del male che del bene. Considerando che Scampia ha 20-21 lotti abitativi, la parte più di degrado e delinquenza si è concentrata negli appena due lotti delle Vele, ma anche l’altro lotto dei Sette Palazzi. Il problema più grande è che nessuno ha voluto guardare oltre questa realtà, che poi è un quartiere atipico perché forse il 10% è stato preso dall’illegalità, mentre ci sono persone perbene che lavorano, ragazzi che vanno all’università, ecc. C’è anche una popolazione abbastanza varia – come in tutti i quartieri – ma nessuno ha voluto parlare di questa parte bella di Scampia che è il quartiere più verde dell’area, con una viabilità e una rete associativa che forse in altri quartieri non esistono, e anche con eventi. Tutti quelli che ci vengono a conoscere se ne vanno sempre pieni di meraviglia. 

Lo scorso ottobre, lei ha partecipato, rappresentando l’Italia, a una due-giorni a Barcellona portando la sua esperienza associativa per costruire una rete di urbaniste femministe nel Mediterraneo. Cosa siete riuscite a raggiungere con quell'incontro per dare maggiore importanza alle donne nella cosa pubblica? 

Il lavoro è stato molto faticoso perché all’inizio, cercando di far uscire dal focus quelli che erano gli obiettivi e le finalità di questo manifesto di donne, c’è stato anche uno scontro con le diverse culture. Ci sono stati momenti un po’ particolari, qualcuna ha anche pianto pensando di non essere capita; dico sempre, però, che il cerchio delle donne è qualcosa di magico – il cerchio della sorellanza – perchè poi ci si capisce e nasce quella forma empatica, anche di solidarietà, che è nata a Barcellona, di questo ne sono pienamente convinta. È un passo avanti per quello che dovrà nascere come rete aperta a donne e ad associazioni – prima era aperta più che altro solo a donne urbaniste. Diciamo che io ho fatto da apripista come associazione che lavora anche dal basso e revitalizza il territorio, non nella parte tecnica ma in quella del fare. Alla fine i progetti che uscivano dalla parti tecniche erano anche i nostri e abbiamo trovato un’assonanza, qualcosa in comune che ci ha stretto in questo cerchio che ci ha aiutato ad andare avanti nel percorso che stiamo facendo. 


È associandosi che le donne possono fare di più per la società? 

Sul nostro territorio è conosciuto il lavoro di volontariato che faccio da trent’anni, mi sono considerata sempre una donna libera, mi rispettano per quello che sono – a volte è più la mia storia che va avanti che il mio nome – però dico sempre che se ci fosse veramente la solidarietà tra le donne tutta questa arretratezza, questi percorsi che ci tengono perennemente in equilibrio sui diritti – a volte si fa un passo in avanti ma due indietro – la cosa sarebbe diversa perché non è un potere: è sbagliato dire “potere degli uomini” e “potere delle donne”. Io dico “camminare insieme” perché quello che facciamo sul territorio lo dobbiamo anche ad associazioni che hanno come presidenti una figura maschile per cui si cammina insieme dappertutto con la visione di genere – il discorso che vorremmo portare nella rete delle donne mediterranee – in tutti i campi come la progettazione urbanistica o la rivisitazione del territorio, ma anche nelle dispersione scolastica e povertà educativa. In queste ultime già vediamo che le bambine non vanno a scuola per motivi diversi dai bambini perché semmai sono deputate a stare a casa per i fratellini perché le mamme vanno a lavorare (si chiede alla bambina, non si chiede al maschio) e poi ancora le gravidanze precoci se capita negli anni scolastici della scuola dell’obbligo e quindi ci si chiede come andare avanti negli studi. Ci devono essere sempre delle progettazioni mirate ma con visioni diverse perché siamo diversi. 

Parlando sempre di donne, la sua associazione è anche un centro antiviolenza pronta ad accogliere e ascoltare donne vittime di violenza. Come si può invogliare le donne a denunciare una violenza subita e in che modo riuscite concretamente a farlo? 

Il nostro centro antiviolenza è, dal novembre 2020, accreditato con disposizione dirigenziale di una delibera comunale. Innanzitutto, con la nostra associazione abbiamo voluto dare un’impronta molto formale e legale sul territorio proprio per permettere alle donne, nel momento in cui volessero bussare alla nostra porta, di sapere di essere accolte da uno staff di professioniste (psicologhe, avvocati, assistenti sociali, educatrici ma anche volontari) con delle regole e delle linee guida da seguire che sono linee guida nazionali. Chiunque arriva al nostro centro antiviolenza non ha l’obbligo della denuncia, però noi proviamo a realizzare un intervento centrato sulla persona. Quando accogliamo le donne che chiedono aiuto, offriamo lo spazio per crescere, ascoltare e aiutare i propri bisogni ma anche per conoscere con consapevolezza le proprie difficoltà, affrontare il dolore, imparare a convivere con le esperienze fatte. Tutto questo porta ad autostima e poi al discorso della denuncia. È un percorso che avviene piano piano ma è unico per ogni donna perché ciascuna ha la sua storia. Questi anni, vivendo il nostro territorio a 360 gradi – la territorialità è un valore aggiunto – ci hanno portato a realizzare un progetto unico per ognuna di loro, viste le relazioni che abbiamo sia associative, sia con le forze di polizia che con l’Asl, e sono rapporti amicali, non istituzionali, che vanno anche oltre il lavoro. Inoltre, cerchiamo di dare loro anche altri percorsi come lo yoga, il benessere psicofisico, insomma tutto quello che può aiutarle ad affrontare un percorso di autostima. Infine, siamo pronte per la prevenzione nelle scuole con dei progetti che si chiamano “scuole di varie opportunità”. Quando noi entriamo nelle scuole ci chiedono, come favore di volontariato, di fare prevenzione. È la scuola che dovrebbe venirci incontro e mettere nel programma proprio la prevenzione e l’educazione ai sentimenti. 

In passato l’associazione ha subito episodi di furti e vandalizzazione. Come si è sentita in quei momenti e dove ha trovato la voglia di riscatto continuando a lottare? 

La voglia la sento perché sono proprio abituata a lottare. Certe cose mi sono scivolate addosso perché ci sono anche episodi positivi, come il conforto e la tanta solidarietà che non ci aspettavamo: è come se ti dessero il carburante per continuare e pensi che sia la strada giusta. Vale per me ma penso anche per il mio staff.  

Un’associazione che comunque abbraccia vari temi – lei è anche Presidente della squadra calcio femminile Dream Team ArciScampia, referente Libera Scampia – come lo sport, la legalità, la cultura. Tra le varie iniziative, c’è qualcuna in particolare che l’è rimasta nel cuore? 

Fondare questa squadra insieme alla scuola calcio ArciScampia è stato un desiderio enorme quindi posso dire che forse è più nel mio cuore. Si tratta di adolescenti ed è la parte più cara che abbiamo perché noi ci occupiamo anche di minori. Cercare di fare una squadra di cui fanno parte giovani donne, bambine, adolescenti, significa fare in modo che il calcio diventi uno strumento di coesione sociale. Questo è un progetto abbastanza complesso in cui le ragazze sono seguite nella cura della persona, nelle regole del calcio, nel loro vissuto ma anche nelle attività dell’associazione, in quella che si chiama “rete del pensiero libero”. Tutto questo crea un rapporto molto forte con loro, le vedi crescere – adesso se ne sono andate 5-6 ragazze – ed è forte il dispiacere quando ci lasciano, però siamo felici perché vanno in una squadra molto più importante e quindi questo vuol dire che sono cresciute come calciatrici, ma anche come donne perché hanno imparato sul campo l’educazione, il fair play, la postura, ecc. 


Ci può raccontare un episodio in particolare che ricorda con più emozione? 

Sì, quello della famiglia Landieri e specialmente di Raffaella, la mamma di Antonio (il giovane innocente ucciso a Scampia il 6 novembre del 2004. Landieri era nel bar a giocare al calcio balilla quando arrivarono i killer. Non era lui l’obiettivo del raid ma, mentre gli altri riuscirono a scappare e mettersi al riparo, Antonio non riuscì a muoversi in tempo. Era disabile e non poteva scappare. Rimase ucciso dalla raffica di proiettili. Per anni la sua famiglia ha dovuto lottare per dimostrare che fosse completamente estraneo alle dinamiche criminali della faida e che fosse una vittima innocente di camorra. Ndr.). Lella, la mamma, l’abbiamo ripresa da un dolore così forte che non poteva neanche urlarlo; è stata portata pian piano a una consapevolezza, alla restituzione della sofferenza, all’interno del suo cuore. Non è accaduto solo con lei: ci siamo occupate di tante donne, sorelle e mogli di vittime innocenti di camorra. Diciamo che essere un presidio di Libera è stata anche una scelta e un impegno. Anche il nostro spazio, sia interno che esterno con le aiuole, è diventato un posto magico. C’è un murales molto bello e colorato, che è stato fatto con l’aiuto della Regione Campania e della Fondazione Polis, con gli studenti del Liceo Elsa Morante, su cui sono inserite frasi bellissime sulla legalità. Alla fine, quando vai nelle scuole e parli di legalità, il discorso diventa prevenzione e educazione ai sentimenti che sono poi proprio le nostre finalità associative. 

È sempre emozionante fare del bene al prossimo… 

Dream Team ha reso tutto molto contemporaneo nel far capire che ce l’abbiamo fatta ad essere una rete di donne e che la visione di genere si può portare avanti con rispetto e molto pacatamente. Per noi il centro antiviolenza è la parte più importante, una pietra miliare, è basilare che ci fosse perché Dream Team ha improntato tutto sull’accoglienza: chi bussa alla nostra porta sarà sempre accolto e facciamo quello possiamo fare, le altre ci restano nel cuore per i loro vissuti.    


Quali sono i prossimi progetti? 

Alla nostra associazione è stata affidata la gestione di due centri antiviolenza, del Cav della Municipalità 7 e Municipalità 8 presso la nostra sede operativa, accreditato con disposizione dirigenziale del Comune di Napoli. Inoltre, a breve un help line di ascolto (si stanno accettando le iscrizioni) per ragazzi affetti da bullismo e cyberbullismo: attraverso la musica ogni partecipante troverà il proprio spazio di espressione per un'adolescenza più libera da violenza e discriminazioni. 

Per rivolgersi all’associazione? 

Trovate le informazioni sul nostro sito: www.associazionedreamteam.eu; la mail è: ass.dreamteamsegreteria@gmail.com. Siamo su Facebook: Associazione Dream Team – donne in rete e si può telefonare al numero 0810489241.