Antonella Leardi: mio figlio Ciro vivrà per sempre

(di Francesca Carlucci)

Era il 3 maggio 2014. Prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli un giovane tifoso napoletano, Ciro Esposito, viene ferito gravemente con un colpo di pistola, per poi morire dopo 53 giorni di agonia. Accanto a lui, fino all’ultimo, sua madre, Antonella Leardi, che da allora porta avanti il ricordo del figlio in nome dell’amore verso gli altri. 

Dal primo istante, nonostante la perdita dolorosa di suo figlio, ha sempre espresso, con compostezza e dignità, parole d’amore, non ha mai avuto parole di odio e di vendetta nei riguardi di chi le ha fatto del male. Come è riuscita a tramutare questo dolore? 

Mio figlio è stato una vittima dell’odio. Si dice “non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te” e io ho fede in Dio perché Dio è amore per cui, se una persona professa fede vivente nel suo cuore, di conseguenza reagisce per fede. È stata la mia reazione subito dopo l’accaduto del 3 maggio. Questo amore lo porto dentro grazie a Dio perché, dopo un omicidio così orribile e assurdo, io riesco a poter portare un messaggio d’amore. Per me è come se fosse stato un dono di Dio. 

In seguito alla morte di suo figlio, si è attivata con l’AssociazioneCiro Vive” a Scampia che si occupa di attività a fini benefici e ha scritto un libro, “Ciro Vive”, edito da Graus Editore, continuando a dare anche un messaggio di solidarietà. A febbraio è stata inaugurata la Stanza Museo "Ciro è" come testimonianza dell'affetto di tifosi, calciatori ed ex calciatori di tutta Italia nei confronti di Ciro. In tutto questo, sente suo figlio ancora vicino? 

Certo, mio figlio vive dentro di me, non se n’è mai andato. Credo che una mamma abbia il dono di avere i figli dentro, di concepirli, partorirli. In questo caso, mio figlio fisicamente non c’è più ma nel mio cuore, nelle mie ossa, nel mio essere, lo sento sempre perché comunque lui fa parte di me, della mia vita, della mia carne, del mio spirito, è parte integrante della mia vita. E l’associazione va avanti proprio per ricordare. Credo che la memoria sia importante perché quando poi si dimenticano certi accaduti è come se questa morte non avesse più significato, si va nell’oblio e secondo me è meglio mantenere la memoria viva e portare messaggi di non violenza. 

Prima ha detto che Ciro è stato vittima dell’odio. 

Sì, verso il napoletano. Quell’uomo di 50 anni che ha sparato a mio figlio neanche lo conosceva; in quel momento voleva colpire una città, un popolo e non c’è riuscito perché Ciro vive e vivrà sempre. Come dicono gli Ultras, “Finchè avrò fiato non sarai dimenticato”, finchè avrò fiato, mio figlio vivrà sempre nell’amore e nel sorriso. 

Cosa vorrebbe dire a chi impugna una pistola, a chi fa del male, per far capire di non sbagliare più? 

Che la vita è un dono meraviglioso di Dio e nessuno – lo dico sempre anche ai giovani quando vado nelle scuole – ha il diritto di togliere la vita a un’altra persona e per nessun motivo: non esiste motivo per togliere la vita a un simile. Io sono credente, penso che si è capito – Dio dona, Dio toglie – e l’uomo non deve intervenire. Questo è un messaggio forte che io porto ai ragazzi perché si uccide troppo spesso anche tra i giovani, li chiamano bulli, ci sono minibande che picchiano, accoltellano, uccidono ragazzi come se niente fosse, come se si stesse parlando di un fantoccio di paglia, io neanche quello riuscirei ad accoltellare! Quindi, la vita è preziosa e non va violata per nessun motivo. 

Ha raccontato di aver visto suo figlio uscire dalla porta di casa in modo frettoloso perché era in ritardo per la partita, per poi rivederlo e stargli vicino fino alla fine dei suoi giorni. Se potesse tornare indietro, cosa vorrebbe dire a suo figlio allora e cosa gli vorrebbe dire invece adesso? 

Allora lo avrei voluto abbracciare come abbiamo sempre fatto perché con i miei figli ho avuto sempre un rapporto molto espansivo. Sono stata una mamma severa – dico “sono stata” perché i miei figli sono grandi, sono uomini – ma anche molto tenera e dolce. Mi basterebbe il suo abbraccio, non gli vorrei dire niente perché mio figlio era un ragazzo giusto, giudizioso, maturo. Sì, avrei voluto quell’abbraccio e oggi, se potesse tornare da quella porta ed entrare, mi basterebbe il suo abbraccio.