"La Colonna Infame della Vicaria" di Slobodanka Ciric

Da non perdere la rappresentazione che avrà luogo a Napoli martedì 21 giugno alle ore 18:30 presso la Salita Vetriera: "La Colonna Infame della Vicaria", l’umiliante gogna pubblica del passato che il trascorrere del tempo ha sì trasformato, ma di fatto, forse, mai realmente rimosso. 

Performance poetica e teatrale di Slobodanka Ciric - con tavole di testo di Mila Maraniello - fa parte del Festival Internazionale delle Arti, prima edizione del Premio Giacinto Gigante, dal 20 al 22 giugno, al Quartierino d'Autore a cura di Vincenzo Crosio, Deborah Di Bernardo, Antonella Nigro e Paolo Menduni. 

"Raccontare la Storia della Colonna infame della Vicaria" - dichiara la Ciric,  performer e scrittrice serba trapiantata a Napoli - "narrazione a mio avviso riferibile al tempo che ci vede protagonisti, colmo di incertezze e quesiti che non sempre trovano adeguata risposta; e nel quale tutti, ognuno per una differente motivazione e sotto diversi profili, possiamo considerarci attori di diverse “insolvenze”. Un ringraziamento anche agli organizzatori Deborah Di Bernardo, Antonella Nigro e Paolo Menduni per aver ripreso le fila del coraggioso percorso culturale intrapreso circa due anni fa, rimasto sospeso a causa della pandemia da SARS-CoV-2, e a Willy Santangelo per l'ospitalità". 

"Mannaggia ‘a culonna o Mannagg’o sang da culonna"… Chi non ha sentito questa espressione napoletana di rabbia?

La sua storia si perde nei meandri del passato ed è legata a Castel Capuano, il più antico castello di Napoli dopo Castel dell’Ovo, fondato nella seconda metà del XII secolo come reggia dei Normanni e degli Angoini. 

L’UMILIAZIONE DELLA COLONNA INFAME

La storia ci tramanda che nel largo davanti alla porta principale del Palazzo della Vicaria, sopra una base quadrata, si ergeva una colonna bianca di marmo (la “colonna infame della vicaria”) che ben presto divenne tormento di ogni debitore della città. Gli insolventi erano infatti costretti a salire sulla colonna, calarsi le brache e declamare dinanzi al popolo le proprie insolvenze attraverso la formula latina “cedo bonis” (rinuncio ai miei beni).

Salire sulla “Colonna infame della Vicaria” era una delle più umilianti e infamanti condanne che si potessero subire, in quanto  capace di compromettere il futuro del debitore; durante la manifestazione pubblica l’insolvente veniva schernito dal popolo, che non disdegnava infierire anche fisicamente sul malcapitato di turno (‘o sango d’‘a culonna). Un altro detto napoletano recita “Cu ‘na mana annanze e ‘n’ata arreto, ha mmustato ‘o cul’ ‘a culonna" (con una mano avanti e l’altra indietro, ha mostrato il culo alla colonna).

Fu Carlo III di Borbone a far rimuovere nel 1856 la colonna, oggi conservata nell’androne delle Carrozze del Museo di San Martino. La rimozione, però, non fu sufficiente a far diminuire la nefandezza del popolo, e la base della colonna venne usata ancora per alcuni decenni come cippo funerario per mostrare i corpi dei condannati.