La politica del "noi": Luigi de Magistris

(di e foto Francesca Carlucci)

Luigi de Magistris nei suoi due mandati da Sindaco di Napoli ha svolto un lavoro di riscatto per e con il suo popolo. Sono stati anni vissuti nel rispetto dei valori e dei diritti umani, civili e sociali, anni che, allo stesso modo, guardano all'avvenire.


“La politica tra la gente, con la gente e per la gente è quella più importante e gratificante” è questa una delle frasi in cui si racconta nel suo libro fotografico, uscito il 19 aprile, ‘Attraverso Napoli’, edito da Marotta&Cafiero, in cui si ripercorrono i suoi 10 anni da sindaco. Lei ha spesso affermato che il popolo è stato il suo partito, un popolo con il quale ha avuto un rapporto schietto e pronto all’ascolto che l’ha amato, sostenuto, apprezzato anche quando non la pensava allo stesso modo. In questi anni vissuti per la città e con la città lei ha fatto e mantenuto promesse. Guardando all’avvenire, cosa promette Luigi de Magistris agli italiani per una società migliore? 

Sicuramente l’esperienza napoletana insegna da questo punto di vista che gli impegni, i programmi elettorali, le promesse possono essere mantenute. È chiaro che non si può fare una riproposizione identica Napoli-Italia, ma la nostra e la mia idea sono quella di proporre un progetto politico credibile non solo nei contenuti ma, ancora di più, nelle persone perché di belle parole se ne sentono tante in giro. Quindi, la garanzia che posso dare è quella delle mia coerenza e credibilità, cioè uno che nella vita istituzionale e politica è stato sempre coerente con dei valori, dei contenuti etici, con il rispetto, la difesa e l’attuazione della Costituzione. L’impegno che mi sento di prendere è di costruire un Paese in cui si cominciano a mettere al centro i diritti costituzionali, le persone, i valori fondanti della nostra Repubblica in cui la pace possa prevalere sull’economia di guerra, l’uguaglianza rispetto alle disuguaglianze, la lotta alla mafia e alla corruzione diventare centrale, l’ambiente tutelato, il lavoro un diritto, la sanità garantita, tutti impegni che la politica che fa parte del Sistema non solo non ha attuato, anzi ha fatto in modo che i diritti diventassero privilegi, le persone non siano libere ma suddite e che la gente con il passare del tempo diventasse rassegnata. 

Parliamo di pace, in relazione alla guerra in Ucraina, prendendo come spunto un’altra frase del suo libro: “In tutti i luoghi in cui sono andato, ho portato la Napoli del riscatto e dell’umanità. Una città che costruisce ponti di pace e non semina l’odio e i rancori che provocano le guerre”. Lei sta esprimendo dall’inizio del conflitto il suo pacifismo per il disarmo e una soluzione diplomatica. Tuttavia, i pareri si dividono e tutte queste buone intenzioni vengono viste da alcuni come prese di posizione “putiniane”, di non appoggio all’Ucraina. Se i pacifisti vengono ignorati e criticati, se Stati e governi non ascoltano neanche la preghiera del Papa di cessare il fuoco, in che modo si potrà arrivare alla pace?  

Alla pace si arriva costruendo la pace. Alla pace si può arrivare anche riempiendo l’Ucraina di armi dove ci sarà uno che distruggerà l’altro, quindi ci sarà un giorno in cui ci sarà comunque la pace, ma con il rischio che ci saranno decine o centinaia di migliaia di morti, il rischio di espansione del conflitto o addirittura di una terza guerra mondiale nucleare. Oppure alla pace ci arrivi con il compromesso politico, il dialogo, la diplomazia, la trattativa, non con la costruzione di politiche imperialiste, guerrafondaie, belliciste. In Italia hanno provato a far passare tutti i pacifisti, quelli pronti al dialogo, favorevoli alla via diplomatica, come putiniani, ma hanno sicuramente fallito nel loro obiettivo perché, nonostante una bombardante campagna elettorale, la maggioranza degli italiani è contro l’invio delle armi, per la diplomazia, contro l’aumento delle spese militari. Quindi noi non solo abbiamo detto dei “no”, abbiamo detto anche dei “sì”, cioè abbiamo messo a terra delle proposte proprio per consolidare la via diplomatica e la costruzione di un’Europa diversa, non l’Europa dei blocchi, delle guerre fredde permanenti, delle mura, delle disuguaglianze, del riarmo, di un’espansione della NATO che non è vista più come un’alleanza difensiva ma altro. Bisognerebbe costruire un’Europa forte nei valori democratici, quindi nella giustizia ambientale, nella lotta alle disuguaglianze, nella corsa al disarmo, nella fratellanza universale, nella libera circolazione delle persone, nelle politiche attive per il lavoro. L’Europa si è concentrata in questi anni soprattutto sulle merci, sul denaro, sulla moneta unica, sulla finanza, adesso sulla corsa al riarmo con una forte subalternità anche agli Stati Uniti che secondo me è una cosa da rivedere. Una cosa è l’amicizia, l’alleanza, la cooperazione, altra cosa è essere subalterni. 


Lei ha dichiarato più volte che “Si accoglie sempre chi ha bisogno, quando sono persone dagli occhi chiari e dai capelli biondi e quando sono persone dagli occhi scuri e dalla pelle nera. La fratellanza è universale. L’umanità non ha confini”, facendo della questione “migranti” un punto di forza attraverso il suo “aprire i porti” al prossimo senza discriminazioni. A quelle persone che ancora oggi si dimostrano diffidenti verso il proprio simile cosa si sente di dire per far capire loro il valore dell’accoglienza come segno d’amore tra popoli? 

Ormai la pandemia e la guerra, se qualcuno avesse dei dubbi, hanno dimostrato che non ci sono confini che tengono, quindi noi dobbiamo costruire un pianeta diverso in cui ci sia una globalizzazione dell’umanità, dei popoli, in cui si possa viaggiare da una parte all’altra del pianeta, non essere disposti a subire solamente la globalizzazione delle transazioni finanziarie, delle armi, delle politiche imperialiste che non hanno confini. Ecco perché abbiamo in questi anni praticato politiche di accoglienza, integrazione, inclusione, solidarietà e fratellanza: aiutare il prossimo è un valore etico ma è anche un dovere e vedersi salva la vita è un diritto, quindi se dobbiamo salvare vite umane che è un pericolo, è un valore universale quello della fratellanza, ed è un diritto, altrimenti diventa una concessione, un privilegio che ti dà qualcuno che detiene il potere. Cioè, chi è che allora ha deciso che gli ucraini li possiamo accogliere senza limiti e invece gli afgani, i libici, gli egiziani, quelli del Gabon, del Congo, dello Zimbabwe, della Somalia, della Siria o curdi, no? Eppure vengono da guerre, da tragedie, tra l’altro da guerre provocate in quel caso non di rado dall’Occidente, dalla NATO, dagli Stati Uniti. Quindi credo che non bisogna essere ipocriti. O noi aiutiamo tutte le persone che hanno difficoltà e stanno morendo… è un po’ come l’ipocrisia di questi giorni che stiamo scoprendo che il nostro governo, anche illustri costituzionalisti dicono che è un dovere armare la resistenza ucraina. Dov’erano questi qua allora quando la Palestina resisteva e continua a resistere a un’occupazione israeliana? Dovremmo armare quindi pure la Palestina secondo questa logica? Ecco, il pacifista è quello che si oppone alle politiche imperialiste sia quelle russe che quelle americane, che si oppone alla logica della guerra, che pensa che se sei palestinese non è che lo sei perché vivi e distruggi lo Stato d’Israele, ma perché devi costruire due stati, due popoli che vivono in amicizia, il principio di autodeterminazione. Questo significa essere pacifisti: essere contro la guerra di Putin, contro la guerra della NATO nell’ex Jugoslavia, contro i bombardamenti in Libia, con la guerra in Iraq, in Afghanistan, in Siria, contro l’occupazione israeliana, contro l’installazione alla metà degli anni ’80 degli euromissili in Italia. Basta essere un paese a sovranità limitata! Noi abbiamo le bombe atomiche americane in Italia, ma il popolo italiano è stato mai chiamato a pronunciarsi su questo? Perché noi dobbiamo subire una sovranità limitata visto che decide un altro Paese… “sì, perché ha vinto la seconda guerra mondiale”, che significa? Pure l’Unione Sovietica ha vinto la seconda guerra mondiale, pure Churchill l’ha vinta. Forse se noi non abbiamo nazisti e fascisti lo dobbiamo più a Churchill e all’Unione Sovietica che agli americani alla fine. È un discorso storico però prima o poi lo dovremmo decidere noi se volere o meno le bombe atomiche nel nostro Paese. 

Durante i suoi due mandati da sindaco ha dato rilevanza a tutto ciò che è “comune”: bene comune, acqua bene comune, la città dei beni comuni, ecc. Sostanzialmente, un modo per facilitare la vita delle persone andando loro incontro. Spostiamo lo stesso concetto sul tema della “sanità”: una sanità come bene comune, funzionante, per tutti, dalla regione Campania a tutto il Paese. Come lo risolverebbe il problema della sanità pubblica piuttosto che privata? 

Già sapevamo che la sanità pubblica era ridotta molto male in Italia, in alcuni posti addirittura a brandelli, disintegrata, pensiamo in Calabria, in alcune zone della Campania, nel Mezzogiorno, ma non solo nel sud Italia. La pandemia ha mostrato con assoluta evidenza ancora di più la malapolitica e una mala capacità di gestione e di dirigenza di tante strutture nella sanità pubblica del nostro Paese. In questi due anni ormai trascorsi dall’inizio della pandemia da questo punto di vista non è che si sia rimediato tanto, quindi la mia idea è quella di investire le risorse che sono ingenti in questo momento per ricostruire la filiera pubblica territoriale della sanità, cioè dagli ambulatori, dalla medicina di prossimità, dai medici sul territorio, la telemedicina, l’assistenza domiciliare, le ambulanze con i medici, i reparti, le terapie intensive, la rianimazione, i pronto soccorso, assumere medici, infermieri, personale. Dopo che hai ricostruito la sanità pubblica nulla si ha in contrario nei confronti della sanità privata e convenzionata. Non è che noi smantelliamo la sanità pubblica e poi vediamo che in provincia di Cosenza ci sono 132 cliniche private, allora la domanda è legittima: “Ma come mai 132 cliniche private e poi la sanità pubblica affanna, è senza ossigeno e pure senza strutture e senza personale?”. Mi sembra che in questo momento in cui è sotto gli occhi di tutti che i servizi pubblici arrancano, invece di utilizzare il PNRR, le risorse economiche, il denaro post-pandemico per rafforzare e migliorare la filiera dei servizi pubblici e quindi dei diritti da garantire a ogni persona, si stia nuovamente accelerando ancora di più ritornando su politiche di privatizzazione generalizzata. Basta vedere l’articolo 6 del disegno di legge concorrenza, la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali, acqua compresa. Napoli ha dimostrato che anche tra mille difficoltà, quindi senza risorse - immaginiamo se noi stessimo al governo come potremmo incidere diversamente sul Paese avendo manovre di bilancio, risorse economiche, ecc. -, senza soldi, abbiamo invertito completamente un trend che era quello della privatizzazione selvaggia, della distruzione dei beni comuni, abbiamo fatto l’acqua pubblica, internalizzato il patrimonio, risolto il problema dei rifiuti con un’azienda pubblica. Insomma Napoli è stata la testimonianza vera, reale, concreta di come si può costruire dal basso un modello alternativo alle politiche del liberismo, del capitalismo predatorio e di chi vuole mettere al centro denaro e privatizzazioni e non diritti e persone. 


Il suo rapporto con la gente, di qualsiasi età, è diretto, semplice, caloroso; in special modo colpisce quello con i bambini che si avvicinano spontaneamente percependo una forte empatia verso di lei. Quale futuro auspica per i grandi del domani e se c’è un momento vissuto da sindaco insieme a loro che ricorda con un’emozione speciale? 

I bambini li ho sempre ascoltati, abbracciati, considerati. Sono stato con loro tanto tempo in maniera totalmente disinteressata quindi l’ho avvertito come un dovere morale, civico e politico, tra l’altro i bambini non votano quindi non c’è mai stato nemmeno un lontanissimo interesse di tipo elettorale o utilitaristico. Credo che un sindaco si debba interessare di tanti ma soprattutto dei bambini e credo di essere stato in questi anni un riferimento. Ho visto il legame con cui i bambini mi hanno incontrato, abbracciato, abbiamo giocato e scherzato, ci siamo confrontati, fatti domande, incontri e gli episodi sono davvero tanti. Quelli più belli che io ricordo sono veramente gli abbracci cioè i tanti momenti in cui ci siamo abbracciati in circolo, ci siamo dati il cinque con le mani, cioè è stato un rapporto di complicità nel senso che i bambini hanno capito che io non li utilizzavo, strumentalizzavo, non li prendevo in giro ed ero vero e io sono stato dalla loro parte. Ho cercato sempre di metterli al centro di tutto, pur tra mille difficoltà e pur non potendo garantire la felicità che meritano, che non può certo un sindaco da solo portare alla felicità dei bambini però credo che insomma abbiamo dato la cifra di come Napoli debba essere la città a misura di bambino e bambina e come il diritto alla felicità debba essere un filo conduttore della vita democratica di una comunità.   

Citiamo ancora il suo libro. Nel racconto ‘Gli scugnizzi’ lei scrive: “È nella linea di confine del disagio, della devianza, dell’illegalità che deve operare soprattutto un sindaco, per provare ad aiutare i fragili a non cadere nel baratro e a trovare la luce di una strada diversa”. A Napoli ha promosso la diffusione della cultura come riscatto sociale ma, in base alla sua esperienza, qual è lo scoglio più grande da superare per sconfiggere il degrado?    

Innanzitutto gli scogli principali ce li hai dentro. Per sconfiggere il degrado devi fare un’operazione interiore, sentimentale, nell’animo, nel cuore, nella testa, perché certe volte il degrado uno ce l’ha dentro - la cultura del degrado - cioè non rispettare il bene comune, imbrattare un monumento, gettare la carta per terra, non curare il proprio territorio, non rispettare l’altro, sono atteggiamenti di degrado e sopraffazione. Quindi noi abbiamo cercato anche qui di fare un’operazione culturale, psicologica, antropologica, pedagogica, sociologica, quella di invertire i rapporti di forza, cioè che è più importante il bene comune rispetto al bene proprio, è più importante vivere la città, stare insieme, essere comunità che magari stare chiusi in casa nel proprio io, nel proprio ambito ristretto, che la cultura è la principale arma di riscatto di una comunità. Infatti noi abbiamo puntato tantissimo sulla cultura, abbiamo cercato di fare un lavoro importante sui beni abbandonati - beni di tutti - per farli diventare addirittura luoghi di fruizione collettiva, di rigenerazione urbana e di recupero di suoli, territori e abitazioni con le delibere sui beni comuni. A Napoli si è praticata più una politica del “noi” rispetto a quella dell’”io”, più della comunità rispetto a quella dell’egoismo e dell’egocentrismo, provare a dare più centralità alla città, all’agorà, al bene comune che alla proprietà di ogni persona, una politica più di apertura che di possesso. 


Lei è ricordato come il sindaco rivoluzionario che ha saputo dare risalto a una Napoli dimenticata per il suo potenziale: una città senza rifiuti, senza limiti alla libertà (per esempio, di spazi per il popolo), messa in primo piano per la sua bellezza e la sua storia attraverso il turismo, la cultura, uno stare insieme senza distinzione di sesso, credo, lottando per l’uguaglianza dei diritti umani e civili, contro ogni violenza. A 30 anni dalle stragi di Capaci e via d’Amelio in cui persero la vita Giovanni Falcone e Salvatore Borsellino, gli emblemi della legalità, lo stesso concetto di “rivoluzione” come si può applicare per una giustizia che sia finalmente ed effettivamente più giusta, senza le catene dell’illegalità? 

Questa è un po’ una battaglia che ha caratterizzato da sempre la mia vita da quando sono entrato in magistratura. Purtroppo si assiste a una divaricazione molto forte tra giustizia e legalità che dovrebbero essere coincidenti, pure se non coincidenti, molto vicine, si dovrebbero toccare sempre, avere punti di contatto. Invece proprio da dopo le stragi di Falcone e Borsellino, di Capaci e di via d’Amelio, si è assistito sempre di più a una divaricazione tra la legalità formale e la giustizia proprio perché il sistema mafioso, il sistema criminale, il sistema corruttivo, dopo Mani Pulite e le stragi, è entrato sempre di più dentro alle istituzioni e alla politica e quindi ha agito anche con gli strumenti del diritto amministrativo, della legge, dei provvedimenti certe volte di natura giudiziaria e l’ordine costituito si è man mano sempre di più intriso di un’apparente legalità formale, ma di una serie di provvedimenti profondamente ingiusti, antidemocratici e incostituzionali e quindi è diventata prevalente la battaglia alla lotta per la giustizia, per i diritti più che per la legalità. Infatti anche a Napoli noi ci siamo contraddistinti soprattutto per questo, cioè un’amministrazione e un’esperienza rivoluzionaria che ha puntato alla giustizia, all’etica, alla legalità costituzionale ed è stata certe volte anche pronta a denunciare gli abusi del potere, di una legalità formale con cui il potere ha cercato di regolare i conti con forme di dissenso, di conflitto sociale, di forme di libertà e di democrazia dal basso.