Rita Atria, oltre il silenzio dell’omertà

(di Francesca Carlucci)


"Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare, forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo". 

Le parole della diciassettenne Rita Atria, considerata la settima vittima della strage di via D’Amelio - anche se raramente leggiamo il suo nome associato a quella tragedia - in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, risuonano come una speranza mai svanita nel tempo. 

Rita Atria nacque in una famiglia mafiosa di Partanna, in provincia di Trapani. Dopo l'uccisione del padre e del fratello, raccogliendo le più intime confidenze su affari e dinamiche mafiose a Partanna, seguì l'esempio di Piera Aiello, sua cognata, presente all'omicidio del marito, la quale, dopo aver denunciato i due assassini, decise di diventare testimone di giustizia

Rita si recò in segreto a Marsala dall'allora procuratore Paolo Borsellino rivelandogli tutti i segreti della cosca cui appartenevano il padre e il fratello. Attraverso una intensa collaborazione, le sue dichiarazioni portarono all’arresto e alla condanna di decine di mafiosi. 

Borsellino fu per lei una figura di riferimento, quasi come un padre, al punto che, una settimana dopo la sua morte, si suicidò proprio perché, grazie alla fiducia che riponeva in lui, si era decisa a collaborare con gli inquirenti, nonostante le minacce e persino sua madre contro di lei. 

Era stata trasferita a Roma sotto protezione e con nuovi documenti senza perdere occasione, attraverso un diario, di condannare la mafia, in nome della giustizia e con la speranza che le nuove generazioni potessero liberarsene. 

La stessa speranza che perse il 26 luglio 1992, gettandosi dal palazzo dove viveva, dopo le morti di Falcone e Borsellino, perché aveva perso il suo sogno: "uccisero coloro che, col loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto"

La sua storia emblematica, rievocata in scritti e rappresentazioni, sembra - e certamente lo è - una storia di disperazione ma è intrisa della stessa speranza di riscatto che sembra perdere nel suo finale. 

Rita Atria oggi rappresenta la volontà coraggiosa capace di rinunciare a tutto per inseguire un ideale di pura giustizia. 

Una voce che, insieme ad altre voci, può e potrà contribuire alla lotta alla mafia per non essere complici nel silenzio dell’omertà perché se "La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci", oltre la paura e i rischi, si può provare, insieme, a sconfiggerla.