Cosa c'entra il blocco navale con i migranti?

(di Francesca Carlucci)

Lo sguardo del sociale sulla politica guarda al rispetto dei diritti e soprattutto su quando, per vie traverse, si cerca di violarli in modo discutibile. Un tema attuale  in vista delle prossime elezioni politiche del 25 settembre con le proposte dei candidati agli elettori.

Ecco che chiunque abbia sentimenti di umanità, fratellanza e solidarietà non possa fare a meno di porsi dei dubbi su quanto possano essere calpestati questi valori nel piano proposto da Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni

Nella fattispecie, un blocco navale - come missione militare europea - lungo le coste del nord Africa per impedire ai barconi di immigrati di partire in direzione dell’Italia, in accordo con le autorità libiche per la difesa dei confini nazionali per fermare la tratta di esseri umani e istituire in territorio africano hotspot - strutture allestite per identificare rapidamente, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti - gestiti insieme all’Unione europea, dove vagliare le richieste di asilo e distinguere chi ha diritto alla protezione internazionale e chi no. 

È questa una proposta considerata incompatibile con il diritto internazionale e di impossibile realizzazione visto che il blocco navale è un'azione militare contemplata dal diritto bellico marittimo volta a impedire l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dai porti di un Paese belligerante. Il blocco deve essere formalmente dichiarato e notificato ai Paesi coinvolti e nel momento in cui è attivato porta a catturare e attaccare le navi. 

Stiamo parlando, in sostanza, di un atto relativo al diritto di guerra e non ad una situazione di pace! 

Irini Papanicolopulu, professoressa associata di diritto internazionale all’università di Milano Bicocca, in un'intervista a Redattore Sociale spiega che "se l’Italia stringesse un accordo con la Libia per bloccare le partenze compirebbe un atto di complicità in un illecito internazionale perché - secondo alcuni trattati internazionali come la Dichiarazione universale dei diritti umani – tutti devono avere il diritto di lasciare un Paese, compreso il proprio. Impedire a una persona di uscire da un Paese viola trattati vincolanti". 

Inoltre, stando all’articolo 42 dello Statuto delle Nazioni Unite, il blocco navale non può essere attivato unilateralmente da uno Stato se non nei casi di legittima difesa, quindi aggressione o guerra. Da qui, la lotta all'immigrazione sarebbe una misura illegale associata a un atto di guerra da parte dell’Italia. 

"Anche l’operazione di interdizione navale è un istituto particolare che può andare contro il diritto internazionale. Va contro la libertà di navigazione, un principio secolare sancito dal diritto internazionale moderno. Tra le criticità c’è anche il diritto di passaggio inoffensivo nelle acque territoriali e bisogna considerare la questione del rispetto dei diritti umani: c’è un trattato internazionale di cui fa parte perfino la Libia, il patto internazionale dei diritti civili e politici, che sancisce il principio per cui chiunque può lasciare un paese incluso il proprio", dichiara la Papanicolopulu, sottolineando un'evoluzione delle norme rispetto a vent'anni fa quando si verificò qualcosa di simile. 

Infatti, nel 1997 l’allora governo Prodi mise in atto un’operazione per bloccare il flusso di profughi dall’Albania, di concerto con le autorità albanesi, ma un’imbarcazione, la Kater I Rades, venne speronata dalla nave Sibilla della Marina Militare Italiana nel tentativo di ostacolarne il passaggio e 83 persone su 150 persero la vita in mare. L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati parlò di un blocco illegale da parte dell’Italia. 

Detto ciò, oltre a una mancanza di informazione, sembra palese un'assenza di umanità in quell'insistere a tutti i costi di trovare il modo di impedire l'accoglienza

In fondo è questo che preme alla Meloni con un partito che sbandiera la parola fratellanza nel suo identificarsi come "fratelli" e non tiene conto di questo nobile valore. Fratelli (e sorelle) di chi, se lo scopo è deliberatamente quello di liberarsi del proprio simile (se non italiano) tenendolo lontano, impedendogli di essere soccorso, aiutato, accudito con la scusa della regolarizzazione?

Di quale fratellanza si parla se chiusa nel proprio cerchio - "i confini nazionali" di cui parla pure Salvini - senza includere il prossimo nella sua universalità? Se i migranti scappano da guerre, fame, povertà, carestia, maltrattamenti, umiliazioni e cercano rifugio dove possono ricominciare a vivere e ad essere rispettati lontani dalle loro case e abitudini, perché farne una questione neanche fossero mosche da scacciare via? Sono persone! 

Il punto non è la politica e le preferenze elettorali, ma i diritti umani da rispettare. Se tutto questo non è contemplato, come si può apprezzare un pensiero così estraneo dall'amare l'umanità senza discriminazioni né confini? Alla fine, tutto si riduce non a un rispetto di norme per regolarizzare, ma di rifiuto dell'altro, fratello e sorella.