(di Francesca Carlucci)
La piaga della camorra, l'emarginazione sociale, il lavoro e la disoccupazione, la vita di ogni giorno, i giovani assetati di cultura limitati da una società senza prospettive future, il caporalato, i sindacati, le industrie in crisi, il sud bistrattato, le proteste di operai e studenti, i problemi del dopo-terremoto tra terremotati e senzatetto, la droga, l'edilizia.
Lo ricordiamo così oggi, negli eventi, nelle commemorazioni, nelle foto del tempi in cui ha vissuto, scrivendo, tra la gente, nella sua quotidianità di giovane uomo, guidando la sua Méhari, ma anche attraverso i suoi articoli, Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra 37 anni fa all'età di 26 anni.
Il suo giornalismo, rivolto ad una società che prendesse coscienza che la camorra si potesse combattere soprattutto con il lavoro, senza rendere indigenti, al fine di non scegliere una vita diversa e pericolosa rispetto a quella normale, è la sua eredità più viva e significativa.
È questo infatti un aspetto che traspare tra le righe dei suoi scritti, come è possibile leggere in "Le parole di una vita. Gli scritti giornalistici. 1979-1985" (IOD Edizioni) per la maggior parte su Torre Annunziata da dove era corrispondente de "Il Mattino" da Napoli.
È un racconto giornalistico semplice, diretto, accurato sulla città oplontina di quegli anni con tutte le sue problematiche in un diario vissuto tra la gente che i torresi di oggi dovrebbero leggere con assoluto rispetto perché è Storia.
Siani, infatti, non era soltanto un coraggioso corrispondente da Torre Annunziata, ma si potrebbe dire "un torrese acquisito" perché viveva la città in special modo nelle sue contraddizioni e aveva imparato a conoscerla, capirla e, senza accorgersene, voleva aiutarla mostrando le problematiche che la affliggevano. Da allora, sembra che sia cambiato ben poco in meglio. Ci portiamo ancora dietro quasi (se non dire tutti) gli stessi problemi di allora, come una zavorra fastidiosa, a causa di chi non ama la terra dove nasce.
Giancarlo Siani ha lasciato un patrimonio di scritti di valore inestimabile non fini a se stessi e su cui riflettere per agire perché meritiamo di meglio: sono le parole della sua e della nostra vita.
Una vita infranta dal boss Angelo Nuvoletta, per volontà del mafioso Totò Riina, capo di Cosa nostra, a cui il clan di Marano era affiliato, proprio a causa di un articolo del 10 giugno 1985 in cui Siani informò l'opinione pubblica che l'arresto del boss oplontino Valentino Gionta fosse stato possibile grazie a una soffiata degli storici alleati Nuvoletta che tradirono Gionta in cambio di una tregua con i nemici casalesi.
Tuttavia Giancarlo Siani non è stato dimenticato come pensavano uccidendo il suo corpo, perché rappresenterà sempre l'emblema di un insegnamento per le generazioni di ogni tempo di non arrendersi al male della camorra e della criminalità vivendo nell'anima di chi, come lui, percorrerà la via della verità e della giustizia.