(di Francesca Carlucci)
"Nessuno mette i suoi figli su una barca a meno che l'acqua non sia più sicura della terra [...] A casa ci voglio tornare, ma casa mia sono le mandibole di uno squalo, casa mia è la canna di un fucile e a nessuno verrebbe di lasciare la propria casa a meno che non sia stata lei a inseguirti fino all’ultima sponda, a meno che casa tua non ti abbia detto affretta il passo, lasciati i panni dietro, striscia nel deserto, sguazza negli oceani, annega, salvati, fatti fame, chiedi l’elemosina, dimentica la tua dignità , la tua sopravvivenza è più importante".
Ecco, signor ministro Piantedosi, ci risiamo. Un cuore attento e premuroso verso il prossimo si sarebbe espresso con le parole della poetessa britannica Warsan Shire a proposito del naufragio verificatosi al largo delle coste della Calabria nei pressi della spiaggia della frazione Steccato di Cutro, a Crotone, nella notte tra sabato 25 e domenica 26 febbraio.
E invece lei che fa? Distrugge con le sue dichiarazioni infelici ogni intento solidale: "La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli".
Ma lei sa davvero perché si arriva a scappare pur di salvare i propri figli affinché abbiano un domani migliore lontano dalla disperazione?
Ed è anche recidivo dopo che lo scorso novembre ha parlato di "carichi residui" riferendosi allo sbarco dei migranti salvati dalla nave Sos Humanity 1 al porto di Catania: "Gli organismi di competenza accerteranno chi versa in condizioni di vulnerabilità e di questi ci faremo carico dopo di che la nave dovrebbe lasciare le acque nazionali, con tutto il resto del carico che ne dovesse residuare".
Al ministro degli Interni che continua ad avvalersi di questo linguaggio inappropriato sarebbe consigliabile una ricerca approfondita su dove sia andato a finire il suo cuore perché uscite come le sue non ne dimostrano la presenza.
Quello che proprio non si riesce e non si vuole accettare è che i migranti resterebbero tranquillamente a casa loro se non avessero una vita impossibile che li vede costretti, a causa di quello che arrivano a sopportare e che non riusciamo neanche a immaginare, a preferire persino di morire in mare pur di scappare!
Le persone non sono una merce e nemmeno così sprovvedute da volere che i propri figli muoiano, per cui le loro azioni vanno rispettate, accolte, aiutate, comprese, amate.
In fondo, cosa aspettarsi se la stessa premier Meloni - lontana anni luce dal rispetto dei diritti umani nonostante false lacrime e parole di convenienza - invocava ad agosto il blocco navale (mentre ora afferma che bisogna impedire le partenze) per regolarizzare i migranti, senza insistere piuttosto, non sulla difesa dei confini nazionali, ma sul rispetto dei diritti umani oltre che di fratellanza, solidarietà e accoglienza?
La verità è che purtroppo il motto che dovrebbe essere di tutti, "salvare vite umane", è stato sopraffatto ancora una volta dall'indifferenza perché alla fine per chi ci governa la gestione del fenomeno migratorio diventa comunque una rogna e non sinonimo di preoccuparsi di come stanno e che fine fanno i nostri fratelli e le nostre sorelle.
I migranti di questa traversata provenivano per la maggior parte da Iran, Siria e Afghanistan. L'imbarcazione, che trasportava circa 180 persone, non ha retto alla forza del mare in tempesta e si è spezzata in due.
Chi ci rappresenta dovrebbe dimostrarsi non solo al servizio dei cittadini per il loro bene ma dell'intera umanità perché ognuno di noi ne fa parte indistintamente.
Quando in un naufragio muore un neonato, un bambino, una donna, un uomo, muore ognuno di noi perché loro sono come noi, siamo noi, per cui questo modo di esprimersi impietoso, insopportabile e inaccettabile è disumano dal punto di vista etico, morale e umano; così facendo, non ci si preoccupa davvero dell'umanità , anzi non vi importa proprio nulla.