Il diritto della bigenitorialità
secondo le pronunce della Cedu.
Un’altra importante recente decisione della Corte di Cassazione in materia di principio della bigenitorialità, ovvero il diritto del bambino di avere un rapporto equilibrato ed armonioso con entrambi i genitori ai fini dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale, ha suscitato importanti riflessioni sul tema.
La Corte di Cassazione, con ordinanza del 16 dicembre 2020 n. 28723, ha ribadito il principio secondo il quale, nell’interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi, quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione (Cass. 8 aprile 2019 n. 9764; Cass. 23 settembre 2015, n. 18817, Cass., 22 maggio 2014, n. 11412).
Anche la nostra Suprema Corte si sta uniformando ai principi enunciati, con vigore, nella propria giurisprudenza dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che, fortemente, si batte per la piena tutela di principi cardini come il pieno rispetto dell’art. 8 Cedu.
Le Corti degli Stati europei non possono più prescindere nelle loro decisioni da quanto viene affermato e sostenuto dalla Cedu, spesso invocata, quando sono in gioco diritti fondamentali di soggetti vulnerabili, come i minori.
La Corte di Cassazione ha fatto, infatti, riferimento, più volte, nella suindicata ordinanza, alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo e, quindi, all’art. 8 della Convenzione.
Non può sfuggire che l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nel garantire ad ognuno il rispetto della propria vita familiare, contempla anche il diritto dei genitori e dei figli a mantenere stabili relazioni, soprattutto in caso di crisi familiare.
È stata proprio la Corte dei diritti dell’uomo a chiarire che tale principio può subire restrizioni o essere escluso quando bisogna tutelare l’interesse preminente dei minori.
Il concetto di interesse preminente del minore viene ampiamente chiarito dalla Corte nel caso Neulinger contro Svizzera, definito con sentenza del 6 luglio 2010, dove si legge che «there is currently a broad consensus (…) in support of the idea that in all decisions concerning children, their best interests must be paramount» (cfr. Neulinger e Shuruk c. Svizzera, 6 luglio 2010, par.135), ovvero, nelle decisioni relative ai minori, è importante riferirsi al parametro del superiore interesse del minore, principio non solo che trova la sua matrice nei diritti nazionali positivi, ma anche negli strumenti sovranazionali come la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del1959, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, la Convenzione dell’Aja del 1980, che vengono interpretati secondo il parametro normativo dell’art. 8 CEDU, sotto il profilo della vita familiare (ad esempio, Neulinger e Shuruk c. Svizzera, cit., parr. 135 ss.) e della vita privata (cfr., per esempio, Mikulić c. Croazia, 7 febbraio 2002, par. 64 e Mennesson c. Francia, 26 giugno 2014, par. 96).
I principi affermati nella sentenza Neulinger sono stati riassunti anche nel caso Sneersone e Kampanella contro Italia (Ricorso n. 14737/09) sentenza del 12 luglio 2011, dove si ribadisce che la Convenzione non può essere interpretata isolatamente, ma, a norma dell’articolo 31 § 3 (c) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (1969), si deve tenere conto di ogni pertinente norma di diritto internazionale applicabile alle Parti contraenti (vedi Streletz, Kessler e Kreuz contro la Germania [GC], nn. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 90, CEDU 2001-II) e che gli obblighi positivi che all’articolo 8 impone agli Stati in relazione alla riunificazione tra genitori e figli devono pertanto essere interpretati alla luce della Convenzione delle Nazioni Unite e della Convenzione dell’Aja (vedi Maire contro il Portogallo, n. 48206/99, § 72, CEDU 2003-VII, e Ignaccolo-Zenide contro la Romania, n. 31679/96, § 95, CEDU 2000-I).
Ritornando alla recente ordinanza della Cassazione sopra citata, è importante ricordare, che pur riconoscendo all’autorità giudiziaria ampia libertà in materia di diritto di affidamento di un figlio in età minore, ha precisato che è, comunque, necessario un rigoroso controllo sulle “ restrizioni supplementari”, ovvero “quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, onde scongiurare il rischio di troncare le relazioni tra un figlio in tenera età ed uno dei genitori”.
Nel caso Solarino contro Italia, conclusosi con sentenza del 9 febbraio 2017, la Corte rammenta che,” per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare” (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 58, CEDU 2002) e che “delle misure interne che lo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’articolo 8 della Convenzione” (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001 VII). La Corte rammenta che l’articolo 8 della Convenzione tende sostanzialmente a premunire l’individuo dalle ingerenze arbitrarie delle pubbliche autorità e può anche generare obblighi positivi inerenti a un «rispetto» effettivo della vita famigliare.
Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti per lo Stato da questa disposizione non si presta a una definizione precisa; i principi applicabili sono comunque comparabili. In entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra gli interessi concomitanti dell’individuo e della società nel suo insieme, tenendo conto in ogni caso che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante (Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 59 CEDU 2000 IX) e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori (Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 66, CEDU 2003 VIII). La Corte rammenta, anche, che l’obbligo delle autorità nazionali di adottare misure per agevolare degli incontri tra un genitore e un figlio non è assoluto. La questione decisiva è stabilire se le autorità nazionali, per agevolare le visite, abbiano adottato tutte le misure necessarie che si potevano esigere dalle stesse nella fattispecie (idem, § 58). In questo genere di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità della sua attuazione, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il figlio e il genitore non convivente (Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05 § 83, 6 dicembre 2007; Zhou c. Italia, n. 33773/11, § 48, 21 gennaio 2014; Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 102, 15 gennaio 2015). Il fattore tempo assume dunque un’importanza particolare, in quanto ogni ritardo procedurale rischia di fatto di mettere fine alla questione in contestazione (H. c. Regno Unito, sentenza dell’8 luglio 1987, serie A n. 120, pp. 63-64, §§ 89-90; P.F. c. Polonia, n. 2210/12, § 56, 16 settembre 2014). Peraltro, poiché le autorità nazionali beneficiano di rapporti diretti con tutti gli interessati, la Corte ripete che non ha il compito di regolamentare le questioni in materia di affidamento e di diritto di visita. Tuttavia, ha il compito di valutare dal punto di vista della Convenzione i provvedimenti emessi da tali autorità nell’esercizio del loro potere discrezionale. Il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni in contestazione e dell’importanza degli interessi in gioco.
La Corte riconosce che le autorità godono di un’ampia libertà, in particolare in materia di diritto di affidamento. Occorre, invece, esercitare un controllo più rigoroso sulle restrizioni supplementari, come quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare. Tali restrizioni supplementari comportano il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età e uno dei genitori o entrambi (Sommerfeld c. Germania [GC], n. 31871/96, §§ 62-63, CEDU 2003-VIII).
Nel caso di specie, la Corte osserva che le decisioni con cui le autorità nazionali hanno deciso di limitare il diritto di visita del ricorrente hanno costituito effettivamente una ingerenza nel diritto di quest’ultimo al rispetto della sua vita famigliare e che da ciò risultava un obbligo positivo per lo Stato di mantenere le relazioni personali tra gli interessati (T. c. Repubblica ceca, n. 19315/11, § 105, 17 luglio 2014).
Cosi, nel caso Lombardo contro Italia, sentenza del 29 gennaio 2013, la Corte specifica, come ha più volte rammentato, che se l’articolo 8 ha essenzialmente per oggetto la tutela dell’individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a tale obbligo negativo possono aggiungersi obblighi positivi attinenti ad un effettivo rispetto della vita privata o familiare. Essi possono implicare l’adozione di misure finalizzate al rispetto della vita familiare, incluse le relazioni reciproche fra individui, e la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure atte a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (si vedano, mutatis mutandis, IgnaccoloZenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000-I, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 14044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). Essa rammenta altresì che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di pervenire a tale risultato (si vedano, mutatis mutandis, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, §§ 105 e 112, e Sylvester, sopra citata, § 70). Per essere adeguate, le misure volte a riunire genitore e figlio devono essere attuate rapidamente, in quanto il decorso del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il minore ed il genitore non convivente (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, § 102, Maire c. Portogallo, n. 48206/99, § 74, CEDU 2003-VII, Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 175, CEDU 2004-V (estratti), Bianchi c. Svizzera, n. 7548/04, § 85, 22 giugno 2006, e Mincheva c. Bulgaria, n. 21558/03, § 84, 2 settembre 2010).
In queste circostanze, la Corte ritiene che, di fronte a tale situazione, le autorità avrebbero dovuto adottare misure più dirette e specifiche finalizzate a ristabilire il contatto tra il ricorrente e la figlia. In particolare, la mediazione dei servizi sociali avrebbe dovuto essere utilizzata per incoraggiare le parti a collaborare ed i servizi sociali avrebbero dovuto organizzare, secondo quanto disposto dai decreti del tribunale, gli incontri tra il ricorrente e la figlia, inclusi quelli che avrebbero dovuto tenersi a Roma. Le autorità giudiziarie nazionali non hanno invece adottato alcuna misura adeguata al fine di creare in futuro le condizioni necessarie all’effettivo esercizio del diritto di visita del ricorrente (Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, e Piazzi, sopra citata, § 61).
Da ultimo, anche nel caso Giorgioni contro Italia, sentenza del 15 settembre 2016, si ricorda che la Corte, investita della questione, chiarisce preliminarmente come lo scopo dell’art. 8 CEDU sia quello di “ …premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri ”, garantendo il rispetto della vita familiare, inclusiva altresì del rispetto delle relazioni reciproche tra individui, tra cui le relazioni tra genitore non convivente e figli.
A tal fine, l’articolo in oggetto “…non si limita a imporre allo Stato di astenersi da simili ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o famigliare”. Tra tali misure positive la Corte individua anche “…la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate…idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori”, richiamando sul punto una sua sterminata giurisprudenza (ex multis, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000 I, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003). Tali obblighi positivi, chiarisce la Corte, “…non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di giungere a tale risultato”.
Fondamentale poi, ad avviso della Corte, ai fini dell’adeguatezza delle predette misure è la rapidità con cui le stesse vengano attuate “…in quanto il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili per le relazioni tra il minore e il genitore che non vive con lui”. Di contro, l’infruttuosità delle misure adottate al fine di riunificare padre e figlio non comportano automaticamente la violazione da parte dello Stato membro degli obblighi ex art. 8 CEDU e ciò in considerazione, da un lato, del carattere non assoluto di tale diritto e, dall’altro, dalla necessità di considerare altresì il comportamento e la comprensione tenuta da tutte le persone coinvolte nel caso concreto. Di fatti, alle autorità non è consentito, se non in via del tutto residuale e limitata, l’utilizzo della coercizione, dovendo le stesse tenere sempre in primaria e prevalente considerazione il diritto superiore del minore. Al fine di giudicare la legittimità dell’azione delle istituzioni, dunque, si dovrà verificare da un lato l’adozione di “…tutte le misure neessarie che ragionevolmente era possibile attendersi da loro per mantenere i legami tra il ricorrente e suo figlio…” (sul punto si veda anche Manuello e Nevi c. Italia, n°107/10, § 52, 20 gennaio 2015) e, dall’altro, “…esaminare il modo in cui le autorità sono intervenute per agevolare l’esercizio del diritto di visita del ricorrente come definito dalle decisioni giudiziarie (sul punto Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 58, serie A n. 299 A, e Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015).
La Corte, pur riconoscendo le elevate difficoltà del caso di specie a seguito della conflittualità acerrima tra i genitori, ha ritenuto che la mancanza di cooperazione tra gli stessi “…non possa dispensare le autorità competenti dall’utilizzare tutti gli strumenti atti a consentire il mantenimento del legame familiare” (si vedano Fourkiotis c. Grecia n. 74758/11 § 72, 16 giugno 2016).
Per quanto attiene, invece, al secondo periodo, terminante con la presentazione del ricorso dinnanzi alla Corte, la stessa ha ritenuto insussistente la violazione dell’art. 8 CEDU in quanto i servizi sociali, incaricati dal Tribunale di vigilare sulla questione, avrebbero profuso “…tutti gli sforzi che si poteva ragionevolmente attendersi da loro per garantire il rispetto del diritto di visita del ricorrente, conformemente alle esigenze del diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione”. Di contro, invece, sarebbe stato proprio il padre ad assumere da allora “…un atteggiamento negativo poiché ha prima annullato diversi incontri e poi ha deciso di non partecipare più alle visite”.
Si fa esplicito riferimento alla mediazione familiare, sostenuta dalla Corte, come componente essenziale per assicurare il diritto alla bigenitorialità.
La continua comparazione tra diritto nazionale e la giurisprudenza della Cedu, che seppur contiene disposizioni non formalmente, ma materialmente costituzionali, (perché l’elenco delle libertà fondamentali è la base dello Stato costituzionale), ci fanno capire quanto sostenuto già nella sentenza n. 317 del 2009 della Corte costituzionale: “il risultato complessivo dell’integrazione delle garanzie dell’ordinamento deve essere di segno positivo, nel senso che dall’incidenza di una singola norma CEDU sulla legislazione italiana deve derivare un plus di tutela per tutto il sistema dei diritti fondamentali”.
Tale considerazione ci induce a ritenere quanto sia fondamentale la formazione in ambito europeo anche da parte dei nostri giudici e una incentivazione da parte degli ordini professionali di una campagna di sensibilizzazione allo studio della normativa internazionale e comunitaria.
fonte:ogismcv
http://ogismcv.it/il-diritto-della-bigenitorialita-secondo-le-pronunce-della-cedu/
