(di Francesca Carlucci)
C'è un dolore troppo indescrivibile e devastante da sopportare ed è la morte del proprio figlio. Attraverso il racconto di una mamma, Gabriella Romano, che ha perso, circa 14 anni fa, il suo primogenito, Carmelo, sulla sua elaborazione del lutto anche attraverso varie associazioni, un'intervista diretta a quei genitori che, come lei, hanno vissuto e vivono la stessa mancanza.
Non si può immaginare quel che si prova per la perdita di un figlio…
Mio figlio Carmelo è morto il 2
novembre 2008 per una morte cardiaca improvvisa. Lui non aveva mai sofferto di
questa patologia e altri casi in famiglia non ce n’erano stati, almeno da
quello che noi conosciamo. Si accasciò sulle scale di casa, era tornato dalle
giostre e non ci fu nulla da fare anche se i soccorsi arrivarono repentinamente
dopo pochi minuti perché abitavamo di fronte all’ospedale di Senigallia – sono
di Torre Annunziata ma da circa 3 mesi mi ero trasferita - ed ecco che ci è
piombata addosso questa grande prova che la vita ci ha messo di fronte. Carmelo
era un ragazzo speciale come tutti i nostri figli, non aveva mai dato segni di
sofferenza invece c’è stata questa morte improvvisa come spesso accade per gli
sportivi. Non si può neanche descrivere quello che può provare un genitore
quando muore un figlio. Sono tutta una serie di sentimenti e sensazioni
contrastanti: incredulità , rabbia, sconforto, desiderio di morire insieme al
figlio, stato di incoscienza, negazione, tutte fasi che poi si ripercorrono
nell’elaborazione del lutto.
Come si sopravvive a questo dolore?
Diciamo che sono sempre stata una
persona allegra, positiva, gioiosa e questo ha contribuito molto ad aiutarmi
perché ho voluto rialzarmi dal dolore per mio figlio Carmelo decidendo di
portare avanti la vita anche per lui. Ho iniziato a cercare di
reagire, quasi in modo forzato, perché ricordavo sempre le sue parole visto che
non gli piacevano le persone tristi ed era molto esteta quando mi vestivo bene.
Portavo avanti la vita nella quotidianità e ho deciso di continuare a mantenere
il mio sorriso, la cura della mia persona, la vita, come se lui ci fosse ancora.
Ho attraversato anche io quelle fasi, magari nascondendole agli altri, non
avevo la forza di rialzarmi la mattina e poi mi ha dato molta forza mio figlio
Alessandro che mi ha aiutato a sopravvivere a questo dolore, è stato la spinta - per qualcuno può essere la creazione di un’associazione in memoria del
figlio, per qualcun altro cambiare vita totalmente, dedicarsi a
qualche scopo umanitario - e anche la ricerca, volevo capire, soprattutto ho
cercato altre persone che come me avevano vissuto questo dolore per capire se
quello che provavo io era una cosa mia, se stavo impazzendo o se qualcun altro
aveva avuto le stesse sensazioni. Potrei dire nel mio caso che sono
sopravvissuta grazie all’ancora di salvataggio di genitori che come me avevano
avuto la disgrazia della morte di un figlio però le ancore di salvezza sono
tante e svariate come il percorso dell’elaborazione del lutto è diverso da
persona a persona. Non mi sento di dire che sia univoco, ognuno di noi ha un
percorso precedente alla morte di un figlio e quello poi incide nel percorso
successivo perché conta molto il proprio vissuto personale, il proprio
carattere, la famiglia di origine e il suo sostegno che per me è stato di
grande rilevanza, il sostegno di una rete amicale. So di persone che hanno perso
tanti amici o di famiglie che si sono sfaldate per questa perdita. Purtroppo
anche la mia famiglia si è sfaldata, già viveva una crisi precedente alla morte
di mio figlio e dopo qualche anno io e il papà di Carmelo ci siamo separati e
poi divorziati e ognuno ha portato avanti la propria vita.
Quel giorno la tua vita è cambiata, tuttavia hai trovato la forza per
andare avanti...
Quando muore un figlio - in realtà quando muore una persona cara, anche per un figlio che perde un genitore in età molto giovane, penso alla mia amica Susanna che ha perso il padre quando aveva 15 anni e anche lei ha fatto un percorso di prima e dopo – e per me che ero una mamma giovane di 34 anni, c’è un prima e un dopo. Io mi vedo anche nelle foto, in quelle di adesso sono diversa, quindi sicuramente la morte di un figlio cambia la vita, la prospettiva. Sono diventata molto più razionale e fredda su alcune cose, non dò molta importanza a cose che prima mi ferivano e magari mi feriscono delle cose che prima non lo erano perché sono diventata più sensibile in alcuni punti e meno in altri, quindi ho molto smussato la mia impulsività , il preoccuparsi di cose che ora mi sembrano vane e prima mi sembravano essenziali e importanti. Quindi, da questo punto di vista, è cambiata la mia vita perché la mancanza di un figlio segna uno spartiacque tra un prima e un dopo. Dico sempre che è una cosa così innaturale che la mente umana rimuove talmente tanto che nel vocabolario delle lingue occidentali la parola per definire la morte di un figlio, cioè un genitore che subisce la morte di un figlio, non viene definito, mentre un figlio che perde i genitori viene definito orfano, la moglie che perde il marito e viceversa è definito vedova/o, per cui sono stati inventati da noi dei termini: genitori orfani, genitore amputato perché perdi una parte di te. Si cerca di portare avanti la vita ma in realtà è una forma di sopravvivenza.
A chi vive una mancanza come la tua, cosa vorresti dire per riuscire ad
elaborare il lutto?
Di non chiudersi. A me ha aiutato
tanto non chiudermi nel mio dolore, nelle quattro mura della mia casa, cercare
cercare cercare… perché siamo sempre incompleti già senza che ci accada la morte
di un figlio e siamo alla ricerca di questo infinito da quando nasciamo, ancora
di più diventa forte davanti a un evento del genere. Personalmente mi ha
aiutata a uscire fuori da me stessa l’andare verso gli altri, in generale verso
le persone che hanno bisogno pensando che potevano essere mio figlio e
soprattutto ho cercato altri genitori come me. Sono diventata più attenta con
l’orecchio, la sensibilità , il cuore. A persone che avevano subito il mio
stesso lutto sono andata anch’io, con discrezione e tatto, a cercarle e in
questo cammino ho conosciuto associazioni che se ne occupano.
Esiste una ricetta, una soluzione, attraverso le associazioni?
In questi gruppi che abbiamo
creato non esistono soluzioni o ricette miracolose… fai così, metti 100gr di pazienza,
4gr di lacrime… no. Le reazioni che si hanno sono molteplici e bisogna
accoglierle anzi raccoglierle perché “accoglierle” pare che noi siamo i bravi
che accogliamo, no, noi “raccogliamo” tutte le reazioni perché siamo diversi,
cioè io magari ho reagito in un modo, un’altra persona in un altro, ma sono
tutte reazioni plausibili e da rispettare.
Da quanto hai avuto modo di vedere in queste associazioni, quali sono le reazioni più comuni e
come giudichi i percorsi degli altri genitori?
C’è chi reagisce andando tutti i
giorni al cimitero e non deve essere giudicato per questo, chi invece non si
seppellisce nella tomba con il figlio e vuole continuare a vivere una vita
anche lui, c’è chi dice “mio figlio è morto e non vivo più”. Quelle sono
tutte reazioni da accettare specialmente nel momento iniziale poi pian piano
avverrà l’elaborazione del lutto, ma mi sento di dire che dobbiamo accoglierci
noi stessi, cioè essere un po’ anche clementi con noi stessi quando
noi genitori viviamo questo lutto: accogliere i sensi di colpa, la rabbia, ecc.
perché fanno parte di noi e aprirsi agli altri senza però pensare che gli altri
possano darci delle soluzioni perché non ci sono. C’è solo da portare avanti la
vita, continuare a camminare insieme, cercando di non fermarsi, ecco che cosa
si fa nei gruppi. Non sempre ci si riesce, ci sono giorni in cui ci si riesce e
altri no, persone che ci riescono e altre no, ci sono persone che vanno via perché
non trovano quello che stavano cercando. Siamo tutte persone alla ricerca, non
sappiamo di cosa ma sicuramente di un modo per non soccombere a questo dolore
che è talmente innaturale che non c’è neanche un vocabolo per definire un
genitore che perde un figlio. Come dicono i cinesi, dovrebbero essere i capelli
bianchi che seppelliscono i capelli neri non viceversa.
Il dolore si sopporta da soli?
L’unione fa la forza nel dolore e nella speranza perché ti aiuta a dimezzare il dolore come una sporta portata in due e si moltiplica anche la gioia perché c’è la gioia dell’incontro, di aver ritrovato la relazione con altre persone. Molto spesso credo che i figli che sono mancati ci regalino delle persone che diventano importanti per il nostro cammino di vita.
Ti sei mai chiesta perché è successo?
Molti si chiedono perché mio
figlio, così bello, bravo. Chiaramente per tutti i genitori i figli sono
bellissimi, bravissimi, fantastici e ho conosciuto tanti genitori e potrei dire
davvero che questi ragazzi che mancano sono tutti ragazzi a loro modo molto
speciali con uno sguardo diverso. Nelle nostre associazioni abbiamo un cuore di
foto: già nello sguardo sono proiettati verso l’infinito, sembra quasi che
avessero compiuto il loro percorso in questo breve tempo della loro vita. Mentre
noi ci mettiamo magari 80 anni, loro ce ne hanno messo 15-20-30. Io però “perché
mio figlio?” non me lo sono mai chiesto. Qualche volta mi sono chiesta
“Signore, perché mi hai mandato questa croce?” pensando, all’inizio, che fosse
stata quasi per qualche mia colpa o mancanza perché poi subentra sempre il
senso atavico che ci portiamo dentro da Adamo ed Eva. Invece poi ho capito che il
Signore non mi aveva mandato nessuna croce, che questo Dio che ci siamo
immaginati come un burattinaio che ci muove da sopra modificando le sorti del
nostro destino a suo piacimento non è così, ma è un Dio di amore che non può
evitare perché Dio – dico una cosa che può sembrare eretica perché l’ho sentita
anche da qualche sacerdote – pian piano si sta capendo, non è onnipotente, Dio
è semplicemente onnipotente nell’amore e quindi ho sentito la sua presenza.
Penso che l’incontro con il Signore è stato grande ma per altre persone è
l’incontro con l’infinito perché ci sono tanti genitori come me che non credono
che comunque portano avanti la vita dignitosamente perché hanno dato un senso –
semmai ce ne fosse uno - a questo dolore, alla loro vita creando delle
associazioni umanitarie, facendo del bene ad altre persone, cercando di
riversare il bene che non potevano dare al proprio figlio su altre persone ed è sempre un ridare quell’amore ricevuto dal proprio figlio. Quindi, io
non mi sono mai chiesta perché è successo a mio figlio, cioè perché mio figlio,
perché non deve capitare a nessun figlio; mi sono chiesta magari - è una delle
domande dell’elaborazione - che cosa devo fare, che cosa vuole la vita o Dio da
questo dolore, perché mi è arrivato questo dolore non chi me lo ha mandato,
anzi con il tempo ho capito che Dio non può evitare la sofferenza ma sta
insieme a noi e nella sofferenza.
Come ti sei avvicinata alle associazioni che offrono sostegno ai
genitori che hanno perso prematuramente un figlio?
Immediatamente dopo la morte di
mio figlio. Nel suo trigesimo feci celebrare una messa alla quale
partecipò la sua professoressa di italiano qui a Senigallia e lei, volendomi
aiutare, mi lasciò un bigliettino e mi disse "guarda c’è una mia amica che come
te ha vissuto il dolore per la morte di sua figlia e ti ha mandato questo
invito, leggilo". Trovai questa associazione di Senigalla che si chiama “Genitori
testimoni di speranza” che da circa vent’anni porta avanti questo ministero
della consolazione per altri genitori che hanno perso i figli - meglio dire a
cui "manca" un figlio perché nel cammino che si compie nell’elaborazione del
lutto si comprende che nostro figlio non è perso, ma è ritrovato in un altro
modo, lo si può ritrovare nelle altre persone.
Come ritrovi tuo figlio Carmelo, in che modo lo senti vicino?
Se teniamo il cuore aperto nostro
figlio lo teniamo vicino anche se devo dirti che la mancanza fisica la sento
ancora oggi dopo quasi 14 anni, non è passata mai, sento ancora tanto la
mancanza della sua voce, del suo profumo, del suo abbraccio, a volte mi sembra
quasi di aver dimenticato l’odore, forse perché sono molto fisica e, Dio voglia
perdonarmi, se ancora non mi sono rassegnata alla mancanza fisica forse perché
il vuoto che ti lascia la persona che scompare è insostituibile, dico sempre
che ha la forma del corpo di quella persona e, se viene un altro, non occupa lo
stesso spazio ed è anche giusto che ci sia perché significa che quella persona
ha contato veramente qualcosa nella tua vita. Io sono sicura che mio figlio è
accanto a me in qualche modo perché, sia che si creda o meno, noi non è che ci
disperdiamo nel nulla. Abbiamo una grande energia che ci abita e possiamo
sentire quotidianeamente e che continua oltre la nostra morte nel ricordo delle persone che portiamo avanti che sono scomparse. Non siamo fatti solo di spiritualità o di
intelletto ma tanto di carne, siamo umani, da qui la mancanza fisica.
Come ti sei trovata nelle varie associazioni?
All’associazione di Senigallia ho conosciuto tantissimi genitori che come me avevano attraversato questa perdita e sono nate anche delle belle amicizie, in particolare con Fiorella e Dalmazio, che poi sono diventati i padrini di mio figlio Alessandro quando ha fatto la Cresima, e anche con don Paolo Campolucci che è il nostro padre spirituale, una persona veramente speciale che ci segue con umanità e tatto.
Come ci si comporta nelle associazioni con un genitore che ha subito un lutto?
Nell’associazione si incontrano altre persone che come te hanno vissuto il lutto e poi diventi anche tu a tua volta ministro di consolazione per altre persone che vivono questo lutto quindi ti formi per l’accoglienza, per stare vicino al dolore di altri genitori. Molto spesso se sai che è morto il figlio di una coppia li vai delicatamente a cercare come era stato fatto con me per dare un segno di vicinanza sempre con molta libertà perché è importante che la ricerca e l’apertura parta da una coppia che ha subito la perdita. È molto importante il tatto che si trova in queste associazioni che a volte purtroppo si può anche non trovare perché siamo fatti sempre di umanità e possiamo sbagliare qualcosa, possiamo essere involontariamente magari indelicati e questo può ferire le persone. Il terreno del lutto è veramente sacro, bisogna togliersi le scarpe, entrare in punta di piedi perché si rischia a volte di fare un danno invece di portare un aiuto.
Oltre all’Associazione “Genitori testimoni di speranza”, sei presente anche
nell’Associazione Gruppo Nain, cosa puoi dirci al riguardo?
Ne faccio parte da qualche anno. L’Associazione Gruppo Nain, nata a Romena, la fraternità di don Luigi Verdi, si trova a Pratovecchio in provincia di Arezzo. È un gruppo di mutuo aiuto, cioè ci si aiuta fra di noi genitori che abbiamo perso i figli con l’aiuto di don Luigi, un sacerdote molto speciale che accoglie chiunque, credi, non credi, non importa, non ci viene mai chiesto se sei credente o no. Si accoglie veramente chiunque abbia bisogno di un sostegno, semplicemente ci si sente accompagnati non per capire dalle risposte - non ci sono risposte in queste associazioni - ma si cammina insieme per non perdere la bussola, per cercare di trovare una strada, per rimanere in piedi, per portare avanti dignitosamente la vita e tra di noi sono nate anche qui delle belle amicizie, nonostante la lontananza, proprio a dimostrare che vogliamo portare avanti la vita e che anche nel dolore - molto spesso facciamo delle cene - ci incontriamo. I genitori che si trovano più vicino alla fraternità della Toscana fanno anche una settimana di vacanza insieme, di condivisione. A Romena è stato creato “il giardino della Resurrezione” praticamente tutti i genitori che vogliono hanno piantato un mandorlo - quindi è un mandorleto - con il nome del proprio figlio e al centro di questo giardino c’è un ulivo che rappresenta l’albero della vita.
Perché il mandorlo a Romena? Che significato ha per i vostri figli?
Ce lo chiedono in molti. È il
primo albero a fiorire tra febbraio e marzo, nel pieno dell’inverno prima che
arrivi la primavera, ed è l’ultimo a dare il frutto. La mandorla è uno degli
ultimi frutti, molto spesso difficile da nascere perché le gelate fanno seccare
i fiori. Don Gigi ha voluto che i nostri figli continuino a dare fiori di bene
e speranza però noi il frutto ancora non lo vediamo, siamo in attesa e
verrà quasi per ultimo rispetto agli altri frutti, forse lo vedremo molto
avanti, ecco l’attesa di questo germoglio e frutto che sono i nostri figli,
questo portare avanti la vita e credere in questo frutto anche se non è il
primo che viene fuori e non ce ne sono tantissimi da raccogliere. È una cosa
molto bella vedere quell’albero che tutti gli anni mette su i fiori e poi tira
fuori le mandorline, che ti fa capire che il seme che muore nella terra poi
porta frutto, che la morte dei nostri figli non è la parola fine, ma è
semplicemente un inizio anche se per noi che restiamo è un inizio molto
difficile e doloroso come quello del bruco che si trasforma in farfalla.
Di quali altre associazioni fai parte?
Negli anni ne ho conosciute anche altre, come "Associazione Figli in Paradiso. Ali tra cielo e terra” di Virginia Campanile, una cara amica con la quale mi sono incontrata in qualche convegno per l’elaborazione del lutto perché ho provato a elaborarlo anche attraverso convegni. Tramite internet, attraverso Carla Magrini, un avvocato che aveva subito la morte della figlia Diletta per fibrosi cistica, ho conosciuto il suo gruppo Facebook (non è un’associazione) delle "Mamme degli angeli", di condivisione, dove si piange anche ma non addosso, si porta avanti la vita dignitosamente, un giorno con più difficoltà e un giorno con più leggerezza, perché un po’ serve anche quella, e poi da lì siamo diventate tante mamme che ci siamo iscritte. Qualche anno fa ci siamo incontrate ad Assisi nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli alla Porziuncola e da lì sono nati questi incontri. Ci incontriamo ogni anno – anche qui sono nate delle belle amicizie - anche se, a causa del Covid, non è stato possibile, ma ci rivedremo il 15 maggio ripetendo questa manifestazione. Ci sono poi altre associazioni, come “Figli in Cielo”, il Movimento della speranza, a cui però mi sono avvicinata soltanto nelle letture.
Quali attività si svolgono nelle associazioni che frequenti?
Nel gruppo “Testimoni di speranza”
facciamo un percorso di elaborazione del lutto attraverso degli incontri che si
svolgono durante l’anno in cui ci si incontra e si parla. Ci sono dei temi che
vengono trattati da don Paolo, il sacerdote che ci segue, e noi interveniamo
parlando delle nostre esperienze, si fa proprio una condivisione. Da anni
abbiamo sempre sostenuto iniziative con le offerte che raccogliamo durante la
celebrazione eucaristica del primo sabato del mese perché il primo sabato di
ogni mese ci incontriamo per celebrare una messa per i nostri figli. Abbiamo fatto
un cuore gigante con tutte le foto dei nostri figli ma le offerte sono
destinate sempre a una causa. Per circa otto anni abbiamo sostenuto un
sacerdote in Costa d’Avorio per il seminario, poi una ragazza della provincia
di Caserta che aveva dei gravi problemi di disabilità per fare dei vari
interventi di cui aveva bisogno – in seguito è anche venuta qua a Senigallia -, adesso
da qualche anno stiamo sostenendo la Lega del Filo d’Oro ad Osimo che si occupa
delle persone con disabilità sordo-cieche-mute, sosteniamo anche la Caritas di
cui molti di noi ne fanno parte. È un ridare l’amore che avevamo per nostro
figlio con questa attività di beneficenza. Con l’Associazione Gruppo Nain
sosteniamo principalmente la fraternità di Romena perché essa accoglie molte
persone che sono in crisi, ci sono vari corsi che aiutano le persone a
ritrovarsi e quindi c’è bisogno anche di soldi. Ci occupiamo della vendita di
magliette e libri, durante i convegni si sta in cucina per aiutare i cuochi che
ci sono. Proviamo anche lì a rimettere in moto il mutuo aiuto cioè noi abbiamo
ricevuto tanto perché abbiamo ritrovato pian piano noi stessi e i nostri figli
in qualche modo, quindi proviamo a restituire quello che abbiamo ricevuto
attraverso il nostro impegno e il nostro volontariato.
La tua esperienza all'interno di esse, insieme ad altri genitori come
te, quanto ti conforta e arricchisce dentro?
Fare parte di queste associazioni
aiuta tantissimo a non chiudersi che è la prima cosa che mi sento di dire ai
genitori che vivono questo lutto e si trovano impelagati su questa zattera che
sembra dispersa in alto mare. La mia partecipazione è proprio quella di non
essermi chiusa, di aver incontrato altri genitori, di aver intessuto comunque
delle amicizie con persone che mi capissero e che, avendo vissuto e vivendo le
stesse sensazioni e gli stessi sentimenti, mi hanno sostenuto per cui mi sono
sentita accolta. Molto spesso chi non ha vissuto questo dolore si sente anche
inadeguato a rapportarsi a te quindi non sa che parole dire, come comportarsi,
molti scappano, invece all’interno di questi gruppi che hanno vissuto il tuo
stesso dolore c’è molta condivisione, empatia e quindi ci si ritrova compresi. All’interno
di queste associazioni ho intessuto le più belle amicizie degli ultimi anni, persone
che prima conoscevo soltanto nella realtà virtuale e poi ho conosciuto nel reale. Con il
Gruppo Nain sono andata addirittura in Toscana da alcune mamme, a Varese da
Patrizia che è una mamma che ho conosciuto a Romena, quindi nascono delle belle
amicizie. È un po’ come se i nostri figli ci facessero trovare fra di noi dicendoci
“ti ho messo accanto un angelo che non sono proprio io, ma è comunque una mia
presenza”. Si impara che gli angeli non hanno le ali e sono cherubini come li
disegnano, ma persone vere e proprie.
Cosa vorresti dire adesso a Carmelo?
Ti manca sempre quell’ultimo abbraccio che gli avresti voluto dare. Tra di noi si parla spesso… se avessi capito che quella era l’ultima volta che lo vedevi gli avrei detto questo, quello… ma io se me lo trovassi di fronte gli direi semplicemente “ti voglio bene, ti ho sempre voluto bene. Sei stato un bravo figlio e ti porterò sempre nel cuore”.