(di Francesca Carlucci)
Ribellarsi alla mafia e impegnarsi a lottare contro di essa. È la storia di Piera Aiello, la prima testimone di giustizia ad essere entrata in Parlamento uscendo allo scoperto dopo 27 anni con un'altra identità .
Vedova del boss di mafia Nicola Atria - figlio di don Vito Atria, mafioso legato alla famiglia degli Accardo (detti “Cannata”) di Partanna, in provincia di Trapani - ucciso davanti ai suoi occhi nel 1991, Piera Aiello decise di porre fine a una vita di soprusi, denunciando gli assassini di suo marito e iniziando a collaborare con le forze dell'ordine e la magistratura, tra cui il giudice Paolo Borsellino, insieme a sua cognata Rita Atria che poi si suicidò a 17 anni, una settimana dopo la strage di via D'Amelio.
Il suo impegno di lotta alle mafie nasce dalla sua storia personale - insieme a quella di sua cognata Rita Atria - nel voler spezzare la catena del codice mafioso ai propri figli. Con lo sguardo rivolto al passato, quali sono le sue emozioni e i suoi pensieri attuali, pensando a come sia cambiata la sua vita?
Il mio impegno risale a quando ero bambina ed i miei genitori mi hanno insegnato ad essere una cittadina che rispetta le regole a 360 gradi, la mia vita è sicurante cambiata, ci sono alti e bassi, ma sono una donna fortunata, perché posso esprimere le mie idee, il mio pensiero da donna libera.
Il 21 marzo ricorre la Giornata mondiale della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Guardando al futuro quale messaggio vuole dare alle nuove generazioni affinché si comprenda che seguire la criminalità è la strada sbagliata?
Il 21 marzo è una giornata particolare, si ricordano le vittime della mafia, ma ai giovani dico che ogni giorno si deve ricordarli, ogni giorno dobbiamo rifiutare connivenze, devono scegliere da quale parte stare, le ultime cronache su Messina Denaro parlano chiare, ogni giorno vediamo persone che hanno facilitato la sua latitanza, professionisti, insegnanti, ecc…
Lo Stato sfugge il più delle volte il discorso "antimafia" invece di affrontarlo con azioni concrete. Perché, dal suo punto di vista, per lo Stato diventa così difficile parlarne?
Sono stata in Parlamento. Ho depositato due proposte di legge, non sono state prese in considerazione, si sente poco sia alla Camera che al Senato, solo in giornate come queste parlano delle vittime, durante l’anno qualche anniversario, poi tutto tace, ci sono i morti che camminano, ovvero chi denuncia, dentro o fuori un programma di protezione, viene sistematicamente abbandonato. Sarebbe lunga da spiegare, ma i fatti parlano da soli, purtroppo come dico sempre l’antimafia non porta voti!
A Paolo Borsellino, sua cognata Rita Atria - ricordata come emblema della volontà coraggiosa della lotta alla mafia - confidò, con infinita fiducia, i segreti della sua famiglia mafiosa e, una settimana dopo la strage di via D'Amelio, si suicidò. Qual è il suo ricordo di Rita Atria e cosa vorrebbe dirle oggi?
Ricordo ogni giorno le vittime, non penso che ci sia bisogno di dire qualcosa a chi sta lassù. Poi con Rita ci parlo sempre, per me lei è viva, vive dentro di me, cammina con me, respira con me. La sera vado a dormire e le do’ la buona notte, la mattina appena mi sveglio le do’ il buon giorno.