Storie di migranti: Vincenzo Sbrizzi e il suo "Napoli Negra"

(di Francesca Carlucci)

Il racconto di 25 migranti che hanno trovato accoglienza a Napoli. È il sunto di "Napoli Negra" (venticinque storie di donne e uomini venuti dal mare), il libro di Vincenzo Sbrizzi - giornalista professionista di Torre Annunziata, due volte vincitore del Premio Siani - per IOD Edizioni con la prefazione di Isaia Sales, che sta continuando a riscuotere enorme successo dalla sua pubblicazione. 

Per quale motivo hai deciso di scrivere "Napoli Negra"? 

Per provare a ribaltare la narrazione che racconta il fenomeno delle migrazioni considerando le persone come numeri. Ho voluto far capire che dietro le statistiche anno su anno degli sbarchi ci sono delle persone con le loro storie. Nonostante siano solo 25, tra le migliaia che tutti i giorni ci girano intorno nel nostro Paese, ho provato a spiegare i motivi per cui le persone si spostano dalla notte dei tempi. In particolare le storie dei protagonisti del libro sono varie e parlano di guerra, povertà, carestia, persecuzioni politiche o semplice voglia di migliorare il proprio futuro. Un diritto che non andrebbe negato mai a nessuno. 

Il tema dei migranti è una costante dei problemi - si può dire irrisolti - della nostra società al punto che genera controversie non solo politiche ma, per alcune persone, di accettazione del concetto di accoglienza dell'altro come nostro simile. Dal tuo punto di vista, come si può risolvere l'intolleranza e il razzismo? 

Sempre capendo che dietro la persona che magari vediamo all'angolo della strada a chiedere l'elemosina o ai semafori a lavare i vetri per pochi spiccioli, c'è una persona con la sua storia e i suoi sogni. Facendo leggere delle storie di vita vera raccontate con semplicità, spero di avvicinare le persone tra loro e far capire che in fondo abbiamo tutti lo stesso obiettivo: vivere una vita che valga la pena di essere vissuta. 

Nell'introduzione si legge: "Quando ho finito di scrivere questo libro io ero esausto. Non ce la facevo più. Non avevo più la forza di ascoltare tanta sofferenza, solitudine, ingiustizia e, nonostante tutto, speranza. La realtà è che tutta quella sofferenza non è umana". La narrazione del tuo libro scorre come un reportage asciutto, preciso, senza esprimere sensazioni di dolore o pena. Tuttavia, le tue parole nell'introduzione manifestano il dispiacere e l'insofferenza a qualcosa di talmente drammatico da non ritenersi umano. Come sei riuscito a trattenere le tue emozioni per farne un racconto da cronista? 

L'ho fatto per rispetto dei protagonisti del libro che meritavano di vedere le loro storie trattate senza sensazionalismi o pietismi. Loro mi hanno fatto un dono: si sono aperti completamente a uno sconosciuto con la speranza che ciò che mi stavano raccontando non si ripetesse più per altri fratelli che partiranno dopo di loro. La forza dei loro racconti doveva bastare a scuotere le coscienze di chi leggeva e io volevo solo essere un tramite. Secondo me un buon giornalista questo dovrebbe essere. Mostrare la sua umanità e formazione nella scelta delle notizie da raccontare ma poi fare un passo indietro e far parlare la realtà quando le scrive. 

In "Napoli Negra" i migranti arrivano nella Napoli conosciuta come città accogliente con imprese sociali e associazioni che aiutano i migranti. Nonostante ciò, nel libro riporti episodi di violenza che contraddicono tutto questo. Che cosa hai provato ascoltando che esiste anche una Napoli "poco accogliente"? 

Mi sono vergognato ma allo stesso tempo ho ritrovato in alcuni episodi la violenza che pervade il nostro territorio. Purtroppo i motivi sono legati sia al razzismo che al degrado sociale e culturale in cui abbiamo lasciato una fetta della popolazione. Tocca anche a noi fare in modo che i nostri concittadini abbiano tutti gli stessi strumenti per accogliere chi viene da fuori e viene ancora percepito come diverso o addirittura come un pericolo, in mezzo a tanta povertà. 

Dalla sua uscita il tuo libro continua ad avere una notevole risonanza. Quando lo presenti nelle scuole credi che le nuove generazioni impareranno a creare un mondo finalmente solidale e accogliente rispetto al nostro? 

Ne sono assolutamente convinto perché guardando negli occhi i ragazzi di oggi vedo già qualcosa di diverso rispetto alla mia generazione o ancora di più rispetto a quella dei miei genitori. Sono convinto che siano molto più predisposti all'inclusione, noi però abbiamo la responsabilità di dare loro gli strumenti per non aver paura del futuro e dello "straniero".