Giulio Regeni era un ricercatore
triestino di 28 anni che si trovava in Egitto per un dottorato sui sindacati di
base egiziani per conto dell’Università di Cambridge: il 25 gennaio 2016 il suo
corpo fu ritrovato senza vita a Il Cario dopo essere stato
orribilmente torturato.
Da allora, lo striscione giallo “Verità per
Giulio Regeni” ha fatto il giro del mondo: lo si vede ovunque, dai comuni alle
scuole, durante le manifestazioni.
Il 15 luglio scorso, Mario Paciolla, cooperante napoletano ONU di 33 anni, viene ritrovato impiccato nel suo appartamento in Colombia, dove lavorava. Faceva parte di una missione che stava supervisionando l'attuazione dell'accordo di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia e il governo colombiano. Nessuno crede al suicidio.
Tre giorni dopo, lo striscione bianco “Giustizia per Mario Paciolla” viene esposto sulla facciata di Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli, alla presenza del Sindaco Luigi de Magistris.
In questi giorni, l’appello alla Colombia ha coinvolto anche altri
comuni italiani ed europei.
La loro morte ha dato vita a una
serie di mobilitazioni che non si fermeranno fino a quando non si potrà dare
pace alle loro anime, la stessa pace che cercano, in primis, i
rispettivi genitori.
Due casi che sembrano simili
perché parliamo di due giovani pieni di voglia di vivere, di fare, di pensare,
di scoprire, due ragazzi coraggiosi che avevano un avvenire davanti, le cui vite spezzate non meritano silenzio, ma verità e giustizia.
I loro striscioni sono manifesti di luce: sono memoria, è come avere i loro volti davanti.
Ignorarli e dimenticarli sarebbe come spezzare le ali alla voce della libertà .
FRANCESCA CARLUCCI