Vogliamo lavorare!

Zona rossa e conti in rosso sono collegati? Non è una curiosa domanda sui colori, è una domanda seria. 

È facile stabilire che per due settimane, che possono pure raddoppiare, bisogna chiudere attività cosiddette 'non essenziali', il punto è quando e in che modo si verificherà questa riapertura visto il periodo di stallo che sembra non vedere mai la fine. Ma, ci si chiede, è davvero 'non essenziale' comprare un paio di scarpe se sprovvisti o un indumento che non sia intimo o tagliarsi i capelli se si diventa impresentabili? E se si rompe il tavolo della cucina che si fa? Si mangia per terra, a mo' di picnic? Sembrano esagerazioni, situazioni paradossali, tuttavia non si arriva mai a capire quale sacrificio comporti a lungo andare lo stare fermi. Certo la salute è la prima cosa alla quale pensare, e questo lo abbiamo detto dall'inizio della pandemia, ma dopo un anno sarebbe il caso di organizzarsi per far ripartire il Paese che in questi giorni manifesta ovunque quanto la pazienza stia cedendo il passo ad un grido di ascolto di quanti vogliono riprendere il cammino dove si è interrotto, anche perché più i tempi si allungano e peggio sarà ricominciare.

È per questo che non ci si stanca mai di dare voce e rilevanza a notizie come quella della manifestazione di oggi a Napoli, in piazza del Plebiscito, riguardante le categorie maggiormente coinvolte dalla crisi economica legata alle chiusure e al protrarsi della zona rossa (moda e abbigliamento, wedding, ristorazione, albergatori e B&B, trasporto privato, parrucchieri, estetica, lavoratori dello spettacolo, agenti di commercio e di viaggio, turismo, guide e accompagnatori, mercatali, società di eventi, negozi di arredamenti e altre partite IVA) rappresentata da Confesercenti Campania.

In piazza si sono viste 15 croci, simbolo della disperazione di questi settori commerciali che chiedono, non un sostegno scarso, ma risposte tempestive e concrete da parte del Governo, in sostanza di riaprire, tenendo presente che si sta arrivando al punto, se purtroppo non ci si è arrivati già, di non sapere nemmeno come riaprire dal momento che molti commercianti sono indebitati e non sanno come risolvere la situazione poiché ci sono spese, affitti e tasse da pagare. Si tratta di persone che hanno investito per il loro futuro e non vogliono rassegnarsi ad aspettare ancora. 

Non tutti hanno la fortuna di uscire di casa la mattina e continuare a lavorare, ebbene, a chi si lamenta di quello che ha e non ha perso, bisognerebbe per un attimo che si mettessero in questi panni scomodi in cui non si intravede una luce, potrebbe darsi che si aprirebbe uno spiraglio e non solo si capirebbe cosa significhi 'mettersi in croce', ma anche 'finire in mutande', visti gli incassi zero di esercizi che non vendono intimo (considerati beni di necessità) e che ieri, sempre a Napoli, hanno manifestato con mutande e calzini in vetrina e saracinesche alzate, ma chiusi al pubblico, protestando contro il protrarsi delle chiusure soprattutto a causa della zona rossa.

Dopo un anno è inconcepibile non andare incontro a tutti, considerando che il negozio è solo la punta dell'iceberg: se chiudi gli arredamenti non lavorano le fabbriche di arredamenti, se chiudi le gioiellerie accade lo stesso con le fabbriche orafe, e così via.

Dopo un anno è mai possibile che non si veda una via d'uscita? Vogliamo ricominciare si o no? Vogliamo vedere quanto non siete indifferenti a chi chiede solo questo nel rispetto delle norme anti Covid?

Si parla tanto di solidarietà, ma la solidarietà è anche e soprattutto questo: preoccuparsi seriamente del prossimo!

FRANCESCA CARLUCCI 
foto: vesuviolive.it / napoli.zon.it