Dalla Serbia a Napoli: l'espressione dell'arte in Slobodanca Ciric

(di Francesca Carlucci)

Quando la Serbia incontra Napoli, due popoli, due anime, balcanica e partenopea, arrivano al cuore di chi le incontra attraverso varie sfaccettature abbracciando un unico e ampio pensiero: la cultura. È il caso della poliedrica artista serba Slobodanca Ciric trapiantata a Napoli da anni a cui è profondamente legata.






Venerdì 12 novembre a Napoli, presso Castel dell'Ovo, sarà presentato il suo ultimo libro Cantico dei Cantici (edito da 'La città del sole'), un nuovo canto d'amore appassionato nella sua personale riscrittura del testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana. Perché questa sua scelta? 

La riscrittura del 'Cantico' rimane un canto d’Amore, per quanto possibile, aderente al testo di partenza. Rispecchia lo stato d’animo di una donna matura che, ormai sola, si trova ad essere alla ricerca di un amore stabile e vero, totalmente alieno al mondo odierno, traviato e travolto da dubbi e incertezze. La mia Sulammita - che nel testo chiamo Liberata (la traduzione del mio nome in italiano) - raccoglie in sé reminiscenze di Lilith, di Eva, della Concubina di Levita, di Agar, di Dina, di Tamar, della Figlia di Jefte, di Susanna, di Miriam, di Donna Sapienza e di Donna Follia, della ninfa Siringa e della Dea Ecate e, attraverso il suo cercare l’Amore, vuole raccontare la Storia dell'umanità, confusa e smarrita nella spasmodica ricerca di un Dio da seguire e amare incondizionatamente.   

Lei è molto legata a Napoli e ai napoletani, senza dimenticare ovviamente le sue origini serbe. Cosa rappresenta per lei la città di Partenope? 

Per me l’incontro con Napoli – la città europea che custodisce nelle braccia le origini greco-classiche, il mito, il teatro, la filosofia – è stato in tutto simile al destino dei “meteci isoteroi”, gli stranieri che nelle polis greche erano sollevati allo status degli autoctoni, conseguendo i medesimi diritti. È per questo che mi sono facilmente integrata e sentita pienamente accettata. Il mio percorso di ricerca si è compiuto proprio qui, a Napoli, perché vi ho trovato l’habitat ideale per l’impresa di suscitare la trasformazione creatrice alimentandola con gli umori del mito, ma anche con le storie quotidiane dei napoletani. 

Vivendo tra due sentimenti, balcanico e partenopeo, riscontra similitudini artistiche e culturali tra i due popoli? 

Il mito e la cultura greca caratterizzano entrambi come l'ospitalità e il calore umano. E la Storia, che è sempre figlia della geografia: entrambe le mie Patrie sono state desiderate e possedute da tantissimi conquistatori, ma mai realmente possedute da nessuno. Ci accomuna l'arte di arrangiare e l'orgoglio di appartenere a un popolo spesso criticato e calunniato ma poco compreso. E se il mio cordone ombelicale è tuttora legato alla natia Serbia, probabilmente perché più matura e più consapevole, solo a Napoli ho trovato acqua e vino per la mia sete di espressione artistica. Parole e scatti come 'Napoli senza riSerbo', ed ancora "messe in scena" e performance come "Bella'Mbriana", "Maria 'a rossa la strega 'e Portalba". Ho incarnato Cerere in "Terra dei Fuochi olim Campania Felix", in primavera metterò in scena Parthenope invecchiata e ferita e più in là forse Donna Marianna. 

Nel suo docu-corto 'A figliata - tratto dal suo libro Napoli senza riSerbo edito da 'La città del sole' del 2019 - affronta il tema dell'omofobia raccontando la "figliata" dei "femminielli". Dal suo punto di vista, oltre l'aspetto letterario e artistico, cosa si potrebbe fare per eliminare pregiudizi e discriminazioni? 

"'A Figliata" voleva in primis salvaguardare e conservare per i posteri una storia vera raccontata dai femminielli dei Quartieri Spagnoli, protagonisti prima del libro e poi del docu-corto. Il femminiello napoletano, nato donna in un corpo maschile, non vuole essere assimilato alle esperienze trans. Crede che essere donna non è una questione di organi sessuali ma di ruoli e responsabilità. Oserei dire che il femminiello napoletano si possa considerare il precursore della lotta alla discriminazione per motivi di sesso, genere e orientamento sessuale. Oggi parole come 'identità di genere', 'non binarismo', 'queer', o 'gender fluid' sono più diffuse del termine 'femminiello'. Questa figura carismatica ed emblematica è in estinzione e con lei, tra le grinfie della globalizzazione e gentrification, svanisce anche la Napoli di una volta. I pregiudizi e le discriminazioni di ogni genere si possono combattere solo conoscendo il prossimo e lavorando tutti insieme; bisogna coinvolgere i diretti interessati, i loro famigliari, il quartiere, la città, la regione, creare una cassa di risonanza raccontando e ascoltando, agendo. Si dovrebbe partire dalla famiglia e dalla scuola con progetti ben mirati. Se invece di bombardarci dalla mattina fino alla sera con gli spot pubblicitari si investisse tanta energia e creatività nei brevi messaggi di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, forse le cose potrebbero cambiare. Purtroppo si avverte il ritorno a tanti "ismi". 


Paroliera, poetessa, scrittrice, filmmaker, fotografa (la sua foto La rosa di carta ha vinto il Premio Speciale Fondazione Sandretto Re Rebaudengo del X° Concorso letterario nazionale Lingua Madre). C'è ancora un sogno nel cassetto che vorrebbe realizzare? 

Ho avuto l'onore di recitare con Renato Carpentieri e Corrado Taranto nel corto in uscita "Un giorno migliore" di Antimo Campanile. Ecco, ho scoperto che mi attira il grande schermo, come mi attira il palcoscenico teatrale. In ogni caso la scrittura rimane la mia passione primaria.


Foto: Gianni Biccari, Bruno Ciniglia, Elena Lopresti