La scrittura come respiro: Manuela Diliberto, non solo "la sorella di"

 (di Francesca Carlucci)

Quando citi il suo cognome inevitabilmente lo colleghi a quello di suo fratello Pierfrancesco, il noto conduttore televisivo e regista Pif. Eppure, Manuela Diliberto, scrittrice e archeologa, è una donna che si presenta da sola con il suo sguardo intelligente sulla realtà, un'anima vivace che si racconta con passione e semplicità.     

Lei è nata a Palermo, ha viaggiato moltissimo e oggi vive e lavora in Francia. Quanta Sicilia porta con sé con i suoi occhi che guardano al mondo?

Ho lavorato in Francia fino all’uscita del mio primo romanzo nel 2017. Adesso, pur continuando a vivere in Francia, scrivo articoli in Italia per La Sicilia e Pangea.news, la rivista diretta da Davide Brullo. In questo periodo in particolare lavoro più che altro al mio nuovo romanzo e metto in ordine qualche situazione interiore, entrambe attività che prendono molto tempo. Palermo (che è un’isola a parte in Sicilia) la vivo a distanza, ma è impossibile per me prescinderla. Porto aperto e ospitale, lontana da tutto, ha stimolato sin da subito la mia innata curiosità per l’estero. Durante la mia adolescenza “lasciare Palermo” è diventato un tormentone interiore, ma questa città, drammaticissima e incantevole, sarà sempre parte di me e ciò che sono lo devo, in parte, a Palermo. Dico scherzando che guardare il mondo dopo essere cresciuta in un posto in cui persino ottenere la carta di identità è un problema, aiuta tantissimo. E’ come nascere preparati al peggio per poi scoprire che la vita può essere molto più semplice. Le assicuro che è una ricchezza: si impara ad apprezzare anche l’ovvio.

(foto Cristina Dogliani)

Lei si occupa di archeologia e storia dell'arte ma è anche una scrittrice. Il suo romanzo "L'oscura allegrezza" (La Lepre Edizioni, 2017) è un libro attuale nei contenuti, nonostante sia ambientato prima della Grande Guerra. Con eleganza e senza preamboli, lei infatti affronta temi che ritroviamo ai nostri giorni. Spaziando dal femminismo alla questione meridionale, dal lavoro minorile e relativo sfruttamento alla politica italiana tra populismi, nazionalismi e crisi economica, i protagonisti Bianca e Giorgio vivono la loro storia d'amore. Come nasce questo romanzo e quali emozioni ha provato nel vederlo pubblicato?

Diciamo piuttosto che sono una scrittrice ma che mi sono occupata anche di archeologia e storia dell’arte. Le lettere classiche e l’archeologia rappresentano il mio campo di conoscenza più vasto, la letteratura, invece, è la sola cifra esistenziale che conosca da quando respiro. Il romanzo L’Oscura Allegrezza è nato dal fascino che ho sempre nutrito per la Belle époque, per le infinite letture che la raccontano, la moda, il fervore culturale e i vari film, ma soprattutto dai racconti che mia nonna Matilde mi faceva dei suoi genitori. Che lei dica che sia un libro attuale mi fa molto piacere. Me lo hanno detto spesso e penso sia vero. Rappresenta soprattutto la prova che non impariamo dai nostri errori: ci ripetiamo, sembrerebbe. I Promessi Sposi, un capolavoro assoluto, si svolge nella Lombardia del 1600, eppure è stato scritto per i contemporanei del Manzoni. Senza voler scomodare il Vico, mi pare evidente che ci sia qualcosa nell’essere umano che persiste, che resta nei secoli protraendosi malgrado i progressi. Una voce universale fatta di esperienza e teoria, attese e smentite, libido e frustrazione. Freud scriveva nel 1911 e oggi curiamo le persone grazie alle sue teorie sulla psiche umana. La storia della filosofia è la prova tangibile di quanto poco gli uomini e le donne si siano riformati. L’individuo del VI secolo a.C. ha le stesse paure di quello del 2021 ed entrambi devono confrontarsi con la morte. E’ questa voce intima ed eterna dell’umano che vorrei mettere in evidenza nei miei romanzi. Una vera e propria sfida.

Dal suo punto di vista, se la scrittura riesce a porre all'attenzione lo stato della società passata e presente, cosa manca alla società stessa per far sì che queste problematiche non appartengano più al futuro?

La risposta si ricollega un po’ a quella precedente. Noi tutti nasciamo per morire. Quindi siamo per – in un secondo momento – non essere più. Il confronto con questa evidenza è tanto vario quanto imprescindibile anche se troppo spesso inconscio e rimosso, e ci allinea tutti davanti alle medesime istanze esistenziali. Parlando, invece, da un punto di vista più societario, da Caino e Abele alle leggi efferate del capitalismo finanziario che ci governa oggi, la storia è un susseguirsi di contrasti fra oppressori e oppressi con qualche progresso in avanti. Quello che manca alla società è la giustizia sociale. Fintanto che non la si raggiungerà, le problematiche di cui lei parla saranno inevitabili.

In un intervista ha raccontato che in Italia ci vuole il cosiddetto "lancio" affinché il proprio libro venga preso in considerazione. In questo modo ha evidenziato la difficoltà per gli scrittori emergenti di affermarsi. Cosa vorrebbe dire a chi si appresta a rivolgersi a una casa editrice affinché non demorda nell'intento?

Chiederei prima di tutto se si conosce davvero bene la lingua italiana e poi se si è certi di voler pubblicare con un reale intento letterario, spinti da un’autentica istanza esistenziale e non per mero piacere personale, tanto per dire “anch’io ho scritto un libro”. Se così fosse, consiglierei di armarsi di pazienza e prepararsi alla frustrazione. Se poi andasse bene, sarebbe tanto di guadagnato.

Girando per il mondo si è trovata a contatto con culture diverse, ma cosa ci rende uguali nelle diversità?

Direi sicuramente il solco che separa i ricchi dai poveri. La sperequazione sociale, in poche parole. In alcuni posti è più palpabile, in altri più nascosta, mascherata da stato sociale, ma le periferie più o meno dimesse o malfamate le ho viste ovunque sia andata.

Tornando al suo libro, nella parte finale lei intervista suo fratello Pierfrancesco. C'è un'ulteriore domanda che avrebbe voluto fargli e qual è il momento più bello che la fa pensare a lui?

No, non ce ne sono altre, direi. Mio fratello lo conosco abbastanza da non nutrire nessuna ulteriore curiosità. Pif invece è un ottimo regista e un grande artista, ma lo conosco meno. Per ricordarmi di un momento bello, dovrei separare Pif da Pier, e, nel farlo, direi il gioco, soprattutto i giochi di immaginazione da bambini. Con lui e mio cugino che abitava nello stesso palazzo, creavamo infinite storie di avventure che interpretavamo e che duravano per intere giornate. Interrompevamo la sera e riprendevamo il mattino dopo. Stupendo!

(foto Cristina Dogliani)

Sulla rivista Pangea a cadenza settimanale sono state pubblicate foto interviste a personaggi famosi che lei ha rincorso per più di tre anni. Rincorrendo lei invece, quali progetti futuri ha in cantiere per continuare a seguirla?

Carina la forma della domanda! Come ho già detto, in cantiere c’è il mio nuovo romanzo. C’è quello e poi, attorno, episodi marginali di vita letteraria e non. La verità è che in questo momento non riesco a pensare ad altro mentre faccio finta di vivere: ho la testa solo ai miei personaggi. L’idea di un pensiero dominante suonerà anche romantica. In realtà si dovrebbe chiedere alla mia famiglia quanto è romantico vedermi sempre così distratta! Fra i progetti che lievitano attorno al romanzo, invece, c’è la prospettiva di un libro sulle interviste, un’idea del mio agente letterario. Altrimenti vorrei riprendere la serie di articoli su Pangea.news che avevo chiamato “Grandi Speranze”, in cui parlo dei libri che mi hanno formata raccontando episodi della mia vita. Mi sono divertita molto a scriverli!